La solitudine di molte famiglie

Quante volte sentiamo o veniamo a conoscenza di fatti di cronaca, di gesti inconsulti che coinvolgono giovani portandoli all’autolesionismo o peggio ancora al suicidio perché non trovano risposte dal mondo che li circonda. La loro vita quotidiana e le loro sembianze non rispondono ai dettami della pubblicità per il successo nella vita. Allora provo a guardali negli occhi e fisso il mio sguardo su di loro.

Quando passeggio in Corso Federico di Svevia ad Altamura con il mio nipotino li vedo correre, saltare, gridare, mentre altri stanno in silenzio, soprattutto ragazze, perché si sentono a disagio. Non tutti rispondono ai dettami della bellezza e di efficienza proposti dalla società e per questo risultano poco visibili. Però uno sguardo più attento mi permette di vedere una “bellezza” diversa, quella della semplicità del cuore, della spontaneità delle idee e delle azioni.

Forse, o senz’altro, alcuni dei nostri eroi non andranno mai a giocare a calcio, non faranno danza, non saranno spigliati e brillanti, non spiccheranno sul lavoro, non saranno del tutto autonomi ma sono e saranno sempre persone come tutti noi, semplicemente diversi.

A volte la paura di non comprendere, di non essere compresi, di non farcela e voler tenere tutto dentro per evitare di far star male gli altri li assale. Restano soli mentre fuori il mondo adulto e intimorito fatica a mettersi in gioco. La non conoscenza della diversità genera disagio, allontanamento e negazione della realtà stessa.

La realtà è storia vissuta che non può e non deve essere negata. Deve essere accettata con dignità e corresponsabilità. I nostri ragazzi forti della loro spontaneità ci insegnano di andare oltre. Con la forza della loro debolezza riescono a ribaltare le esigenze, i sogni e il modo di accogliere e di vivere la vita.

Attraverso i loro occhi, i loro silenzio e il loro sorriso disarmante mi stimolano ogni giorno a vedere con occhi nuovi la vita. Mi invitano ad assaporarla perché preziosa, a renderla sempre più bella e significativa. Loro mi chiedono di accogliere l’oggi.

Mettiamoci allora in ascolto del grido delle famiglie che vivono il disagio dove ciascuno è chiamato a dare senso a ciò che spesso sembra solo essere dolore e fatica, impazienza e solitudine. Nelle nostre città ci sono genitori, sorelle e fratelli che vivono nel silenzio se non sono aiutati e supportati. Basterebbe dire o potessi dire a loro “Rilassati un attimo, ci sono anch’io con te”.

Vito Bottolo

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