L’antica Cappelleria D’Alò di Gravina, un secolo di storia socio-economica … Chiuderà?

Intervista di Giuseppe Marrulli                

Quando è sorta la cappelleria? Chi è stato il fondatore e come mai ha avviato un’attività di vendita di cappelli e non di altri articoli? Insomma, mi potete riferire le informazioni più dettagliate sulle origini dell’attività?

Il 1° maggio 1905 il nonno materno degli attuali titolari, Giuseppe Lobaccaro, avviò il negozio in Largo Plebiscito n. 3, a Gravina, nella bottega dove svolgeva il lavoro di barbiere. All’epoca i barbieri non tagliavano solo i capelli dei loro clienti, ma provvedevano a completare l’opera con la vendita di cappelli, che prima di essere considerati accessori dell’abbigliamento costituivano soprattutto una protezione contro il freddo o il caldo. In quei tempi tutti indossavano il cappello e nei dintorni di Largo Plebiscito si contavano una dozzina di barbieri. In quella bottega nonno Giuseppe vendeva anche piccoli utensili per l’agricoltura (es. i coltellini richiudibili da tasca, le forbici per la potatura). Si vendevano anche le corone funerarie metalliche, i porta ceri in metallo per le lapidi, le scarpe di carta per i defunti, in quanto i barbieri facevano pure da cerimonieri nell’organizzazione delle esequie, prima dell’avvento delle imprese di pompe funebri. Inoltre si affittavano, per la processione del Legno Santo nel venerdì di Pasqua, le candele di cera “al consumo”, pesandole prima e dopo l’uso. E, ancora, si occupavano dell’organizzazione dei matrimoni.

Nel 1905, anno di apertura del negozio, la scelta di quel punto vendita non sarà stata casuale. In pieno centro storico, con l’affaccio su Piazza Plebiscito. Immagino che all’epoca tutto il commercio e la vendita al dettaglio di beni di vario genere si concentrasse nel centro cittadino. Quali categorie sociali erano servite dalla cappelleria? 

All’inizio del Novecento la città era molto più piccola, gli abitanti non arrivavano neanche a 20 mila e tutte le attività commerciali si concentravano nel centro storico, che per la verità costituiva il fulcro della vita sociale e politica. Infatti nella centralissima Piazza della Repubblica si insedieranno col tempo l’albergo e, dopo la caduta del fascismo, la camera del lavoro e le sedi dei partiti politici. Per il fondatore la scelta del posto fu semplice: la bottega di barbiere. Da quel negozio i contadini e gli artigiani compravano le coppole “da lavoro”, cioè per l’uso quotidiano, mentre i benestanti (i proprietari, gli agrari, i pochi professionisti) si rifornivano sia di coppole per la campagna che di cappelli da passeggio. Il cappello faceva parte del corredo maschile in vista del matrimonio.

Sotto il profilo economico, la vendita di copricapo e altri accessori dell’abbigliamento è stata redditizia? In altri termini, il ricavato dell’attività è stato in grado di assicurare un reddito sufficiente per il mantenimento della famiglia? Oppure si è trattato di un’attività sussidiaria o complementare a un altro lavoro?

La vendita dei cappelli da uomo e degli altri accessori rappresentava un’attività complementare a quella del barbiere, serviva ad arrotondare i guadagni per mantenere la famiglia. Nella fase di avviamento il nonno ha utilizzato il localetto dove rasava le barbe dei clienti e forgiava le chieriche dei presbiteri, fornito solo di uno specchio e di una sedia. Durante la prima guerra mondiale il nonno fu richiamato alle armi e fu nonna Rita ad interessarsi della vendita dei cappelli e del funzionamento della barberia, nella quale lavoravano i garzoni. Dopo la grande guerra l’attività si è ingrandita, grazie anche all’ampliamento del locale mediante l’acquisizione di due piccoli vani adiacenti. Michele D’Alò, che avrebbe poi gestito la seconda generazione della cappelleria, lavorava come garzone nella barberia. Il nonno favorì l’educazione e la formazione lavorativa del giovane, acconsentendo poi al suo connubio con la figlia. 

Mi potete spiegare quali erano le motivazioni che spingevano nel passato i clienti ad entrare nella vostra cappelleria? E quali sono invece le motivazioni di oggi?

Prima il cappello era un accessorio indispensabile, serviva sul lavoro e nella vita sociale. Come è stato già detto, costituiva un capo obbligatorio del corredo maschile e indossarlo sistematicamente aveva lo stesso significato di andare dal barbiere periodicamente per farsi radere la barba o tagliare i capelli. 

Oggi chi desidera un cappello a Gravina passa necessariamente dall’unica cappelleria rimasta in attività, in grado di soddisfare anche le varie esigenze della moda.

Dal punto di vista merceologico, mi potete descrivere le caratteristiche principali degli articoli in vendita, magari passando dai modelli in voga negli anni passati ai modelli attuali? Con riferimento a una scala di qualità, su quale gradino si colloca la vostra merce (qualità alta, buona, medio-alta, medio-bassa, economica o altra)?

La specialità del negozio è il cappello di feltro a cupola, che una volta veniva modellato sulla testa dei clienti. Successivamente sono arrivati i cappelli modellati in fabbrica, ad esempio il Borsalino modello Humphrey Bogart o il modello Lobbia che pare sia derivato dalla botta presa in testa dall’omonimo senatore picchiato dai fascisti. La qualità dei cappelli in vendita dai D’Alò è medio-alta. I prezzi tuttavia sono prezzi da paese; infatti nelle grandi città, ad esempio in Galleria a Milano, gli stessi cappelli costano molto di più.

Tornando al contesto storico, l’antica cappelleria è stata presente lungo tutto il Novecento, secolo che ci ha fatto conoscere, tra l’altro, le due guerre mondiali e la ricostruzione post-bellica. Data la sua collocazione nel centro storico, si può ritenere che la cappelleria sia stata un importante punto di osservazione degli avvenimenti del secolo scorso e di questo primo ventennio del duemila? Quali testimonianze potete riferire sui principali fatti storici svoltisi a Gravina?

Il nonno era di cultura socialista, fece 30 giorni di carcere durante il regime per motivi politici. In quanto socialista, tenne sempre presenti le esigenze del popolo dei lavoratori. Andava personalmente sull’aia, d’estate, a radere la barba ai trebbiatori. Era amico di Canio e di Giuseppe Musacchio, i due fratelli profeti del socialismo in Puglia. Rispettava tutti ed era rispettato. Persino una severa guardia municipale dell’epoca fascista gli consigliò amichevolmente di coprire l’insegna del negozio per evitare l’apposita tassa comunale. Il negozio rappresentava un luogo di ritrovo per i paesani che si scambiavano là le informazioni e le loro opinioni sugli eventi politici e sindacali, sugli scioperi dei braccianti e sui privilegi dei proprietari terrieri. Oltre che dalla bottega, i D’Alò hanno seguito le manifestazioni di piazza dalla terrazza della vicina abitazione in via Cassese, dalla quale non sono mai sfuggiti i disordini e le violenze che hanno caratterizzato soprattutto gli anni del secondo dopoguerra e della ricostruzione. In quel periodo le proteste organizzate dal partito comunista erano molto accanite e sfociavano in azioni dannose per le cose e per le persone malcapitate. Da quella casa hanno assistito anche all’incendio dell’albergo Lombardi nel 1947; si vedevano volare dai balconi mobili e suppellettili. 

Dalla fondazione si sono succedute varie generazioni nella gestione dell’attività. La successione in linea familiare ha agevolato la sopravvivenza dell’azienda o ha creato difficoltà? Ci sono buone probabilità che la cappelleria passi nelle mani delle generazioni più giovani della famiglia?

La continuazione fino ad oggi dell’attività della cappelleria è stata assicurata proprio dal vincolo intergenerazionale della famiglia D’Alò. E’ stata una questione di fedeltà all’opera del fondatore, una questione di sangue. L’attività è stata mantenuta con spirito gioioso, come se si trattasse di un prezioso gioiello di famiglia. Per fortuna gli esponenti della terza generazione, cioè gli attuali titolari Pietro e Giuseppe D’Alò, hanno studiato e svolto una professione “a tempo indeterminato” che ha garantito loro un reddito costante, al riparo dall’esiguità dei margini di profitto della cappelleria. Ma proprio la sicurezza del “posto fisso” ha permesso ai figli appartenenti a quella che poteva essere la quarta generazione nella gestione dell’attività commerciale di studiare, laurearsi e sistemarsi, però, in altre città d’Italia, persino all’estero. In definitiva non ci sono, al momento, probabilità di continuazione del business da parte della famiglia.

Sono stati fatti cambiamenti alla struttura dei locali dove si è svolta l’attività, a partire dall’inizio del Novecento? I locali sono stati sempre di proprietà della famiglia?

Il fondatore Giuseppe Lobaccaro svolgeva l’attività in un piccolo locale condotto in fitto, in quanto era contrario ad avventurarsi in operazioni di finanziamento per l’acquisto del locale stesso. E’ stato il genero Michele D’Alò, in seguito, ad ampliare e ad acquistare la location. L’arredamento del negozio – con scaffalature interamente in legno, sobrie ed eleganti – risale all’ultimo intervento di adattamento effettuato negli anni ottanta.

L’attività commerciale ha comportato sicuramente una rete di relazioni d’affari. Chi sono stati e sono, ad esempio, i vostri abituali fornitori e i vostri clienti?

Le imprese fornitrici sono quelle classiche di produzione dei cappelli di fascia alta (Alessandria) o di modelli similari (Monza, Marche) nonché delle coppole pugliesi (Salento, Putignano). L’approvvigionamento avviene per il tramite dei rappresentanti; una volta questi passavano a marzo/aprile di ogni anno per raccogliere gli ordini in tempo utile per la stagione invernale. I clienti sono di Gravina e dei paesi limitrofi (Altamura, Matera ecc.). Molti i turisti, anche stranieri, che varcano la soglia del negozio. L’evento di Matera “Capitale europea della cultura” ha fatto arrivare fino a noi frotte di visitatori con innegabili benefici per il commercio locale. C’è un cliente di Milano che trova solo qui le giarrettiere da uomo; si confezionano papillons su misura; qualcuno chiede ancora le cravatte Ascot (foulard maschili da annodare al collo). Nell’86 è stata inserita la linea dei cappelli da donna, dalle cuffie ai cappelli eleganti e da sposa.

Negli ultimi anni la nostra città è stata al centro dell’attenzione per le proprie bellezze paesaggistiche, architettoniche e per le sue risorse storiche, soprattutto nei quartieri antichi. Sono stati girati in paese numerosi lavori televisivi e cinematografici. La cappelleria ha suscitato interesse e ammirazione da parte dei turisti e degli operatori della televisione e del cinema?

In occasione dei set televisivi e cinematografici allestiti a Gravina per girare alcuni lavori importanti, gli operatori, gli attori e i registi sono rimasti colpiti dall’esistenza in paese di un’antica cappelleria. Molti ne hanno approfittato per l’acquisto di un copricapo, come Marco Tullio Giordana che, durante la lavorazione del film “Lea” (2015), si è rifornito di coppole irlandesi e di una Lobbia, meravigliandosi di quella bella bottega d’epoca e anche dei prezzi, più convenienti rispetto a Roma. Addirittura ha incaricato la costumista del film di comprare i cappelli per tutta la troupe. Nel film con Riccardo Scamarcio “L’ultimo Paradiso” (2021), regia del lucano Rocco Ricciardulli, la cappelleria viene inquadrata così come si presenta con la sua insegna nella scena di piazza che conclude la storia, pur essendo questa ambientata negli anni cinquanta. Nella fiction della RAI “Pane e Libertà” (2009), con Pierfrancesco Favino nei panni di Giuseppe Di Vittorio, i panama, le coppole dei cafoni e i cappelli dei signori hanno tratto ispirazione dalle vetrine della cappelleria D’Alò.

Ringrazio i fratelli Pietro e Giuseppe D’Alò per le informazioni fornite durante l’intervista, per la gentile disponibilità e per aver permesso, grazie all’amore per l’attività svolta e alla promessa di fedeltà fatta al fondatore e al proprio genitore Michele, il mantenimento in funzione della Cappelleria.

Intervista di Giuseppe Marrulli

Scatti di Carlo Centonze e Maurizio Cimino

Gravina in Puglia 22 maggio 2021

Michele D’Alò – seconda generazione – della omonima 
Cappelleria negli anni ‘60 

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