Non possiamo essere presentati quali figli di stupratori

Le pellicole girate nelle settimane scorse nel nostro territorio, tra le colline della Murgia e le coste adriatiche pugliesi, finalmente consentono di esaltare e fare apprezzare la spettacolarità dei nostri paesaggi e della nostra natura. Le albe riflesse nell’Adriatico e i nitidi tramonti alle spalle delle doline della Murgia sono molto incisive e richiamano l’attenzione e la curiosità dello spettatore, anche disattento. 

Ho, tuttavia, il timore che scenografie paradisiache o mozzafiato siano la   preziosa ed esclusiva cornice per evidenziare quadri di umanità dai colori esclusivamente foschi. 

Spesso, viene rappresentata quale protagonista di centri storici strepitosi ed unici la ignoranza della gente che vi abita, con la fragilità e maniacalità dei costumi e delle tradizioni.

Mentre la civiltà contadina, con i suoi pascoli infiniti, nelle sceneggiature proposte spesso rappresenta lo sfondo di stupri sistematici, o di tentativi patologici di violenze.

La distorsione dei vernacoli, o   lo scimmiottare esasperato di espressioni, cadenze e accenti costituiscono un modo per ridicolizzare chi si esprime e parla.

Il paradosso è costituito dal fatto che tali film dovrebbero promuovere il SUD e/o la MURGIA e sono finanziati con fondi pubblici messi spesso a disposizione dalla Regione o enti ad hoc.

L’ ironia o l’autoironia non fanno male, allorquando ci consentono di prendere consapevolezza dei nostri limiti culturali.

Tuttavia, non può accettarsi una storia dove ben tre uomini siano stupratori o profittatori di fanciulle, dando l’idea di un popolo di violentatori. Né si può confezionare – a pagamento – una storia, ambientata nel capoluogo di regione, ove la criminalità è così diffusa tanto che anche il padre del commissario di polizia è un contrabbandiere. Mentre il poliziotto non sa scrivere un messaggio augurale al proprio superiore e il professionista di buona famiglia deve essere, inevitabilmente, anche egli stupratore.

Certo! Non deve sfuggire il riscatto della figlia che, pur nelle difficoltà e disagi di Bari vecchia, è cresciuta sino ad operare una importante scelta di legalità e conseguire traguardi.

Si ha la sensazione, però, che si sia persa l’occasione di raccontare i valori della civiltà contadina, ai quali è stata ispirata la nostra educazione.   Era ed è proverbiale il rispetto che i nostri genitori ed i nostri avi esprimevano – pur nella ignoranza – quando dovevano rapportarsi con una figlia, o con una donna.  Rispetto che si traduceva, nel linguaggio, nell’impiego del < Voi> o del < Lei >.

Si è persa l’occasione di testimoniare la pudicizia ed il timore del semplice fare indiretto riferimento al sesso. Sino a farne un tabù. Sino ad escludere – paradossalmente ed esageratamente – baci e abbracci verso i figli.

Si è persa l’occasione di descrivere il senso di ospitalità, oltre che della solidarietà e generosità pur nella miseria, della nostra gente.

Registi e scenografi hanno dimenticato di raccontare il processo di crescita e di sviluppo, anche culturale, della gente del sud e dell’entroterra. 

Ovviamente, non si vuole essere sordi e dimenticare che violenze sessuali ed incesti venivano consumati nelle nostre famiglie e nelle nostre masserie.

Non possiamo, però, generalizzare ed essere presentati quali figli di stupratori.

Gianni Moramarco

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