Remo Barbi: la casa diventa risorsa e strumento di cura per gli anziani

La drammatica emergenza sociosanitaria determinata dalla diffusione del Covid-19 nel nostro Paese, colpisce profondamente soprattutto le persone più fragili in salute e più deboli sul piano economico e sociale e, fra queste, gli anziani e le persone con patologie croniche. L’effetto perverso del contagio è tremendo fino ad esplodere nella sua virulenza nelle Case di Riposo, nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (Rsa) e nelle Residenze Sociosanitarie Assistenziali per anziani (R.S.S.A.).

            La trasmissione del virus tra gli anziani provoca molte morti, morti in solitudine, che lasciano cicatrici insanabili nelle famiglie, ma nel contempo alimentano quella cultura dell’indifferenza e dello “scarto”, richiamata in più occasioni da Papa Francesco, amplificando quella frattura generazionale che l’imponente invecchiamento della popolazione di questi ultimi anni aveva già meso in luce.

            Anche in Puglia l’andamento demografico registra, secondo i dati Istat del 15/12/2020, una riduzione della popolazione al di sotto dei quattro milioni a fronte di un significativo aumento degli over65, arrivati a 890.542 persone, pari al 23,52% dell’intera popolazione.

            Si vive di più ma non sempre si vive meglio. In Puglia le malattie croniche sono in progressiva crescita e riguardano oltre il 40% della popolazione pugliese di cui la maggior parte sono anziani e tuttavia non c’è ancora un piano per la cronicità, basato sulla presa in carico della persona e non solo sull’erogazione di prestazioni.  Così come, a fronte della chiusura di Ospedali e dei tagli di posti letto, non è stata rafforzata la rete della medicina territoriale, con la realizzazione dei Presidi Territoriali di Assistenza (PTA) e degli Ospedali di comunità, il potenziamento e la valorizzazione del ruolo dei Distretti Socio Sanitari all’interno delle ASL.

            Il progressivo indebolimento degli interventi socio sanitari inducono gli anziani a vivere con molta incertezza il loro percorso di invecchiamento, privandoli della possibilità di scegliere come e dove invecchiare.

            La legge regionale n.16/2019 “Promozione e valorizzazione dell’invecchiamento attivo e della buona salute”, rimasta per ora sulla carta, ha individuato la famiglia e la propria abitazione quale contesto capace di garantire agli anziani condizioni di vita ideali. Rimanere a casa e ricevere cure e assistenza in casa propria significa conservare i legami con le proprie abitudini di vita, con la propria storia, la propria identità, con gli affetti familiari.

            La casa di riposo o la RSA, se per alcune gravi patologie neurovegetative diventa una necessità, non può essere una soluzione generalizzata, tanto più dopo aver evidenziato un’allarmante vulnerabilità di tali strutture nella gestione dell’emergenza Covid, spesso incapaci di arginare la diffusione del contagio e di garantire la sicurezza e la cura degli anziani, più volte lasciati in balia di sé stessi. Ma se la scelta prioritaria sarà quella di far rimanere il più possibile l’anziano in casa propria ciò non significa scaricare alla famiglia l’intero onere della presa in carico. Allo stato si utilizza, quando si può, i caregiver familiari, figure ancora non legittimate giuridicamente e senza alcun riconoscimento del lavoro di cura svolto, o, in alternativa, si ricorre al privato attraverso assistenti, infermieri, badanti quasi sempre provenienti dall’estero, senza garanzie il più delle volte sia per chi offre il servizio, sia per chi lo riceve.

            Fondamentale, per garantire la scelta della domiciliarità è perciò il potenziamento dei servizi di assistenza domiciliare ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) e SAD( Servizio Assistenza Domiciliare) , oggi ampiamente sottodimensionati rispetto al bisogno di presa in carico e anche rispetto alla domanda espressa. Gli anziani che usufruiscono del servizio di assistenza domiciliare integrata sono il 2,3% e l’8,3 % di coloro che presentano limiti funzionali. Il numero delle ore dedicate è, comunque, assolutamente insufficiente a causa soprattutto della debolezza organizzativa dei Distretti, che ricevono sempre meno risorse da impegnare.

            Oggi, a partire dallo stanziamento della legge 77/2020 e alle altre risorse che possono rinvenire dai finanziamenti europei, è possibile pensare a un sostanzioso finanziamento dell’assistenza domiciliare, tanto che lo stesso provvedimento prevede il raggiungimento del 6% come media nazionale. Ma è sufficiente aumentare l’ADI? Forse è l’occasione per ripensare e riprogettare i servizi uscendo da una logica prestazionale per pensare a servizi che facilitino e valorizzino tutte le risorse di cura del territorio e della famiglia, attraverso una forte personalizzazione degli interventi per una reale presa in carico della persona.

            Oggi l’ADI offre prestazioni molto standardizzate e poco personalizzate e di durata limitata, peraltro insufficienti anche per soddisfare la domanda delle persone non autosufficienti gravi. I bisogni delle persone fragili non sono solo sanitari e riabilitativi, riguardano sostegni e tutele sociali legati agli atti quotidiani della vita. C’è bisogno di interventi che guardino alla persona e al suo contesto, ai diversi gradi di fragilità anche moderata, mentre i servizi attuali intervengono solo nelle fasi più acute (ADI) o nelle fragilità manifeste ed economicamente più deboli (SAD).

            Vanno poi coinvolti i Medici di medicina generale che devono assumere una funzione cruciale di prevenzione, di diagnosi e presa in carico, anche in regime di telemedicina quando possibile, in collaborazione con gli infermieri di famiglia, introdotti dalla legge 77/2020 e ora recepiti dalla Conferenza Stato Regioni, per consentire cure domiciliari di sostegno non episodico.

            Interventi quali visite mediche, prestazioni infermieristiche, somministrazione di medicine devono essere accompagnati da azioni a supporto della domiciliarità nelle sue diverse esigenze: dalla mobilità (domestica e extra domestica) ai bisogni personali (igiene, vestizione, alimentazione, piccole commissioni, accompagnamento a centri di aggregazione). Non solo. L’aiuto dovrebbe riguardare anche i familiari, i caregiver, attraverso informazioni, formazione e sostegno anche psicologico.

            La casa diventa risorsa e strumento di cura, per questo si rendono necessari investimenti per adeguare gli alloggi, con nuove infrastrutture al fine di renderli idonei come luoghi di assistenza e di cura, dotandoli di strumenti e dispositivi tecnologici di telemedicina e di domotica.

            Nelle cure domiciliari il Terzo Settore deve trovare un suo ruolo che va oltre la mera erogazione di servizi, in grado di valorizzare l’esperienza di coprogettazione realizzata in questa fase emergenziale, per finalizzarla alla costruzione di un nuovo modello di servizio e di rete territoriale.

            Infine diventa indispensabile un’integrazione sociosanitaria, la vera lacuna di questi anni di aziendalismo esasperato all’interno di una visione “ospedalocentrica” che ha marginalizzato il territorio e le comunità. L’esperienza dei Piani di Zona degli Ambiti territoriali ha evidenziato la difficoltà di programmare e gestire risorse senza un’integrazione dei soggetti in campo e la condivisione delle responsabilità. La presenza di due assessorati regionali di riferimento, alla salute ed alle politiche sociali, non aiuta l’integrazione per questo vanno potenziati meccanismi di coordinamento sia a livello regionale che territoriale di ambito e di Distretto.

Remo Barbi

GIà Sindaco di Gravina in Puglia

Componente segreteria Regionale FNP CISL Puglia

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