La Chiesa del Purgatorio a Gravina in Puglia: Dio non abita più qui?

Nel 1658 la peste a Napoli falcidiò 240 mila persone, anche illustri: Ferdinando III Orsini, undicesimo Duca di Gravina, ne rimase vittima il 24 agosto di quell’anno. Occorsero due anni prima che le sue spoglie fossero trasferite nel mausoleo di famiglia fatto costruire dallo stesso Duca e dalla pia consorte Donna Giovanna Frangipane della Tolfa.

          Nel giro di due generazioni il casato degli Orsini mutò radicalmente la disposizione dell’anima nei confronti dei problemi della vita e delle questioni ultraterrene, passando dagli eccessi del “duca patr’” Pietro Francesco (nonno) – che il popolo gravinese associa ancora all’esercizio dello ius primae noctis – alle rinunce di ordine nobiliare e patrimoniale di Pier Francesco (nipote) che abdicò al titolo di XII Duca per indossare gli abiti religiosi, fino all’ ascesa al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIII.

          Non fu un mutamento privo di traumi per la nobile famiglia, approdata a Gravina in seguito al matrimonio tra il rampollo campano degli Orsini e la baronessina Giovanna, pugliese di Toritto.

         Tra Solofra (Avellino) e Gravina esisteva già prima che quest’ultima diventasse feudo degli Orsini una linea commerciale, alimentata dagli scambi di prodotti agricoli e della pastorizia ed efficacemente sostenuta dallo svolgimento della Fiera di S. Giorgio. Pertanto gli spostamenti degli Orsini tra la provincia avellinese e le campagne murgiane avvenivano di frequente, facilitati dall’agevole, per quei tempi, collegamento stradale lungo il versante bradanico dove si potevano incontrare mercanti e viaticali solofrani alle prese con i loro traffici.

          Ma, si sa, sulla linea del cuore è la donna a determinare i destini residenziali del nucleo famigliare nonché il “framework” educativo dei suoi componenti.

          Donna Giovanna si era formata alla scuola napoletana delle Clarisse del Monastero di S. Chiara, assimilandone con convinzione e meticolosità i rigorosi principi morali e di fede cattolica, non disgiunti dall’incorporazione, iure sanguinis, di un sano atteggiamento di casta che si traduceva nella strenua difesa di diritti, privilegi e quant’altro connesso a e derivante dal potere feudale.

          Ecco perché Ferdinando e Giovanna erano rimasti, per così dire, tramortiti all’annuncio di Pier Francesco di volersi fare prete. Era il primogenito e la sua decisione mandava all’aria il disegno della distribuzione del potere come veniva concepito, in linea con le leggi e i costumi dell’epoca, dai due genitori.

          Donna Giovanna, comunque, alla prova dei fatti, si è spesa in opere di bene per la città che la ospitava ed ha lasciato concrete preziose testimonianze del proprio livello culturale con opere e architetture che costituiscono oggi l’identità di Gravina. Piazza Benedetto XIII rappresenta l’impronta della nobildonna del Seicento che riqualificò quel luogo aperto a strapiombo sul burrone – all’epoca il fronte principale della Cattedrale aveva la visuale diretta dell’habitat rupestre e della collina di Botromagno un tempo sede della civiltà greca e romana – con la costruzione della Chiesa del Sacro Monte del Suffragio, dedicata a S. Maria del Suffragio dal Vescovo Mons. Domenico Cennini nel 1654, meglio conosciuta come Chiesa del Purgatorio. In seguito la nobildonna avrebbe arricchito la piazza, sul lato opposto, con l’erezione della cappella di pertinenza del Monastero delle Domenicane, di cui sarebbe diventata la Badessa.  

La Chiesa del Purgatorio è una perla dell’architettura religiosa posta all’imbocco della Piazza della Cattedrale per chi vi giunge da Porta S. Michele percorrendo Corso Matteotti. Appartiene ad una specifica categoria di edifici di culto cattolico, quella dei Monti del Suffragio, di cui si riscontra la presenza in numerose altre città della Puglia e d’Italia (la Chiesa del Purgatorio di Bitonto, quella di Matera, di Monopoli, Trapani, Napoli, Cefalù ecc.). Si tratta di chiese dedicate al culto dei morti: le preghiere e le sante messe sono finalizzate alla salvezza delle anime dei defunti, assegnando al Monte del Suffragio una funzione mediatrice tra la devozione dei fedeli viventi e la conquista del regno Celeste da parte dei passati a miglior vita.

      Non starò qui a descrivere le opere d’arte racchiuse nel prezioso scrigno del XVII secolo: il ricordato mausoleo con il bassorilievo a grandezza naturale di Ferdinando III, le tele di Francesco Guarini pittore della nobile famiglia e quelle del discepolo Angelo Solimena, il pulpito ligneo del ‘700 e la cantoria con un meraviglioso organo realizzato nel 1790 da Benedetto De Rosa. All’esterno si impone allo sguardo il portale dall’evidente impatto allegorico sormontato dai due scheletri “semisdraiati, in atto, forse, del suono dell’angelica tromba della risurrezione finale” (A. Casino “La famiglia Orsini a Gravina” 1989). Per maggiori dettagli si possono rileggere i numerosi articoli di stampa esistenti sull’argomento, compreso quello di Michele Gismundo pubblicato da Al.gra.mà.

          Voglio riportare peraltro, sperando di esprimermi con esattezza data la fonte storica, l’intensa agitazione d’anima che invase Donna Giovanna. Rimasta sola – prematura vedova e madre di sei figli tutti assegnati alla vita religiosa – si dedicò con tutte le sue forze ad azioni caritatevoli e alla preghiera, maturando pian piano il desiderio di dedicarsi totalmente al Signore. La mattina del 21 novembre 1676 si confessò e assistette alla messa nella Chiesa di San Tommaso (oggi S. Domenico), poi si recò in Cattedrale dove restò a lungo in contemplazione davanti al Crocifisso. Dopo una lunga riflessione, bussò alla porta del Conservatorio di Santa Maria del Piede (oggi Monastero di S. Maria delle Domenicane, vicino alla Cattedrale). A 52 anni divenne Suor Maria Battista dello Spirito Santo, lasciandosi per sempre alle spalle il mondo e la società che aveva contribuito a migliorare.

          Ora che siamo in quaresima, mi riaffiorano i riti della settimana santa e, per associazione, mi chiedo perché la Chiesa del Purgatorio non sia più dedita al culto divino, ma sia diventata luogo museale, per la precisione sede del Museo Capitolare d’Arte Sacra. Se si fa una ricerca su Google, la chiesa viene riportata come “sconsacrata” senza ulteriori precisazioni circa gli estremi del provvedimento dell’Ordinario diocesano e le motivazioni che hanno condotto all’abbandono della pratica religiosa. La prima impressione per chi, come me, è legato alle tradizioni, è di sgomento per il venir meno di un’antica consuetudine che aveva mutato una cappella di famiglia, dopo i lavori di ampliamento fatti eseguire dagli Orsini, in un luogo sacro per il popolo gravinese: nei giorni festivi la piazza risuonava del concerto di campane proveniente dalla Chiesa Madre, da S. Maria delle Domenicane e dal Purgatorio; le persone più avanti con  gli anni frequentavano le funzioni, soprattutto quelle delle prime ore del mattino; nel mese di novembre i rintocchi del mortorio contrassegnavano la larga partecipazione dei fedeli alle messe di suffragio.

          Come dobbiamo interpretare la chiusura della chiesa al culto? Nessuna delle chiese del purgatorio prima citate risulta sconsacrata. E’ un arretramento nei confronti dell’avanzare della società dei bed and breakfast, dei pub, dei ristoranti e delle pizzerie, che stanno sempre più occupando gli spazi del centro storico. E’ anche non stare al passo con le svolte che la globalizzazione e la tolleranza multiculturale implicano in termini di presenza nella nostra società di religioni diverse: lo spirito di accoglienza diviene più comprensibile se non risulta scalfita l’intensità e la diffusione della nostra fede.

          Gli edifici sacri sono un segno visibile della presenza di Dio nella società e svolgono un ruolo di qualificazione dell’ambiente urbano, oltre a possedere una funzione polarizzante.

          Nel novembre del 2018 si è tenuto a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana, un convegno internazionale dal titolo “Dio non abita più qui?”, riguardante proprio il tema della dismissione dei luoghi di culto. Il convegno, con la partecipazione della CEI e del Pontificio Consiglio della Cultura per gli aspetti relativi alla gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici, si è concluso con la individuazione di linee guida raccomandate alle organizzazioni territoriali circa l’approccio più corretto da tenere nella soluzione delle problematiche derivanti, in primis, dalla secolarizzazione avanzata delle società. Certo, lo spopolamento dei centri storici e delle periferie delle città, unitamente alla crisi delle ordinazioni sacerdotali, sono da tenere in debito conto quando incidono sul regolare funzionamento delle comunità parrocchiali. Tuttavia il fenomeno della crescente assenza dei fedeli nelle chiese, soprattutto dei giovani, è generale e non limitato agli edifici di culto dei centri storici, basta farsi un giro per le parrocchie, di domenica ,durante le celebrazioni. A tale atteggiamento è necessario che corrisponda una visione del clero meno rassegnata e più votata ad una paziente comunicazione della bellezza del messaggio cristiano.

          Per carità, non tutti gli operatori ecclesiastici si mostrano rassegnati, ma la riflessione è d’obbligo quando si tratta di decretare o di ritenere in via di fatto una chiesa o una parrocchia non più gestibile come luogo di culto. 

          Dagli atti del convegno emerge come il comportamento delle autorità ecclesiastiche deve essere improntato alla estrema attenzione a non prestare il fianco a contestazioni sul piano giuridico, quale può essere la decisione di sconsacrare una chiesa in mancanza delle cause gravi richieste (ad esempio impossibilità a sostenere economicamente l’agibilità dell’edificio), oppure quale può essere la decisione di cessare il culto divino mediante la chiusura di fatto di una chiesa in vista della riduzione ad uso profano.

         Un altro aspetto richiamato dal convegno è il seguente: tanto nelle città quanto nelle campagne i beni culturali ecclesiastici costituiscono preminenti elementi di riconoscimento culturale e di aggregazione sociale, indipendentemente dal loro specifico contenuto liturgico o spirituale. In ogni caso la grave decisione di cambiare la finalità di edifici costruiti come luoghi per il culto cristiano dovrebbe coinvolgere i diversi soggetti implicati: l’intero popolo di Dio, il vescovo, il parroco, il consiglio pastorale, gli ordini religiosi, le associazioni e i movimenti ecclesiali, le confraternite, i parrocchiani.

          E’ stato fatto tutto questo? Mi sono perso qualche passaggio? Mi sfugge il significato vero di quella che appare una sconsacrazione mancante dei presupposti giustificativi e che scuote le coscienze civili e religiose. Spero che sia una decisione non definitiva, anche se ormai perdura da svariati anni. Il popolo dei fedeli – alla Chiesa, alla storia e all’arte – avrebbe bisogno di una spiegazione. I capolavori dell’arte sacra si sono fin qui salvati dal degrado e dall’oblio solo in quanto inseriti in strutture “vitali”.

Giuseppe Marrulli 

Foto di Carlo Centonze

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