Nipoti di pastori

L’economia della regione murgiana, sino ai primi anni sessanta, era basata sull’allevamento di ovini e sulla produzione e confezione di prodotti derivati dal latte, oltre che sulla lavorazione della lana. L’economia “della lana e della pecora” era l’unica compatibile con il clima e con l’assetto del territorio dell’altopiano, ricco di pascoli rocciosi ed erbe spontanee e medicinali.

Coinvolgeva il tessuto sociale in maniera trasversale, in quanto, sia pure in dimensioni e proporzioni diverse, erano partecipi famiglie di vario rango.

Le famiglie nobiliari, con i loro centri aziendali, erano impegnate negli allevamenti e nelle attività agricole con strutture gerarchiche di tipo piramidale, con a capo il massaro (che aveva compiti di selezione e coordinamento delle attività e dei dipendenti, e spesso con compiti di casaro).

Poi, in secondo ordine, il pastore caciere che pascolava le pecore lattifere e si dedicava alla cagliatura e alla produzione del formaggio, quindi, il pastore mungitore, che si dedicava anche alla mungitura. Infine, i garzoni, giovanissimi o alle prime esperienze.  

Tutto l’organico era legato con contratti annuali, con rigorosa decorrenza dal 15 agosto. Le famiglie dei piccoli e medi proprietari terrieri abbinavano la coltivazione dei campi all’allevamento di ovini e caprini ed erano organizzate su base familiare, con l’ausilio eventuale di salariati o garzoni.

Le famiglie dei fittavoli e dei mezzadri invece, spesso si spostavano, a bordo di carri trainati da cavalli o muli, per insediarsi oltre i confini del territorio di appartenenza, alla ricerca di terreni o masserie di borghesi, o di nobili ormai trasferiti a Napoli. Nella scala sociale, si registravano infine, i massari, i casari, i pastori, i garzoni.

Le greggi venivano ricoverate negli ovili, detti jazzi, costituiti da ampie corti recintate e riquadrate da muretti a secco per formare più settori e dividere le pecore lattifere da quelle gravide, e dalle ciavarre, ossia le pecore giovani, di un anno.

Gli jazzi erano costruiti in prossimità di tratturi, per facilmente accogliere greggi in transumanza, con esposizione a sud, lungo la spalla più in pendio per consentire il deflusso delle acque e dei liquami lungo una pavimentazione costituita da roccia affiorante. I più antichi, risalenti forse, al 1300 o 1400, erano in parte coperti con tavoloni o lastre di pietra. Al centro, il recinto destinato a mungituro, con apertura di ingresso e di uscita, ove si procedeva alla mungitura.

Più o meno distanti dagli jazzi, le masserie o i locali in muratura grezza, scuri, sia perché illuminati poco dai raggi di luce che filtravano solo attraverso piccole aperture poste in alto, sia perché impregnati di fumo.

La luce dei lumi a petrolio confortava solitudini e stanchezza, cene frugali e racconti senza speranza. Non vi erano docce o acqua corrente. L’igiene personale era affidata all’acqua, prelevata con secchi di latta dai pozzi, e riversata in catini smaltati di bianco. Un piccolo specchio per radere la barba, con l’allume di rocca e le lamette gelosamente custoditi in un piccolo cofanetto.

Quasi in maniera promiscua, accanto ai pagliericci dei pastori, il casone con il grande focolare dove, nella grande caldaia annerita dal fumo e dal tempo, si riscaldava il latte appena munto, e si trasformava, cagliandolo, per procedere alla produzione del tradizionale formaggio pecorino e della ricotta.

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