Giuseppe Laquale: La stanza dell’inverno

Le piante di finocchietto selvatico, a mazzetti, si ergono nere e gialle nell’inverno della Murgia. Punteggiata come al solito dalle rocce calcinate dalla recente eppur già lontana estate, la terra restituisce anche adesso insperati sprazzi di vita di animali e piante. Al di là dei rovi, degli arbusti e dell’erba sempreverde – macchie riposanti e imprescindibili nei nostri paesaggi brulli – il finocchietto sopravvive di una nuova turgidità, sostituendo al suo verde un nero quasi carbonizzato, insieme a un giallo paglia, smorto, foriero dei venti caldi e umido dell’autunno, delle spore dei suoi funghi, simili a quelle stoffe che si attaccano alle gambe come spine, come rovi scomodi quando al mattino c’è la nebbia.

            Giù, nella gravina, una famigliola di cinghiali attraversa il guado, riunendosi e attendendosi. In alto il nibbio reale rotea in cerca di cibo. Sugli arbusti di ginepro, sui rovi di more, sui capperi dalle foglie secche e tondeggianti, balzano ora il passero, ora il codirosso.

            Si entra nell’inverno, perché l’inverno sulla Murgia non è un tempo dell’anno, è piuttosto un luogo, uno spazio vitale, una camera. Qui vi abitano piante, uccelli e fiori, colorati e attivi. Qui c’è una stanza per ogni uccello, per ogni coleottero: si fermano, si riposano e si coprono, proprio come in una stanzetta, in un vano. 

            Qui c’è una stanza anche per l’uomo, in cui ognuno, su mobili immaginari, ritrova pezzi poetici della propria infanzia, nascosti da una vita prosaica e lenta, che della poesia ne ha fatto a meno. Poesia fatta di versi semplici, odori consueti solo per questo periodo: la buccia d’arancia nella fornacetta in ottone con la carbonella accesa, l’olio caldo che sfrigola nelle padelle in attesa di paste cresciute, il vento che sa di fumo e illumina di grigio un muro, una via, un tetto. Un’attesa intrisa di morte, ma che anela e si protende alla prossima vita. Fermati un attimo, primavera, e al tuo ritorno lascia un piccolo spazio ai giorni della merla, a un po’ di freddo ancora, che magari si nasconderà fra giornate assolate e quasi estive di questo clima impazzito! 

            In questa stanza si entra e si esce, come si è già capito, ma all’interno ci si cambia, si cambia aspetto, pelle e colore, si lasciano su un angolo, su una sedia imbottita dal raso violaceo, i propri abiti gioiosi e leggeri, ci si spoglia del lieve cotone e ci si veste di abiti lisi ma pesanti, di velluti confortevoli. Qui si vive di lunghi momenti che sottendono alla solitudine, ma in un attimo insperato, un ciclamino e un croco viola ti accompagnano per qualche passo ancora: e puoi uscire, leggero, chiuderti la porta alle spalle e scrivere sulla neve che si scioglie la cantilena dei tuoi passi stanchi.

Giuseppe Laquale

Foto di Piero Amendolara

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