Giuseppe Marrulli, Acerenza e gli enigmi della Cattedrale

Per andare ad Acerenza dalla Puglia occorre compiere uno sforzo di adattamento del fisico e dello spirito. Innanzitutto la relazione di adattamento è con il territorio, che presenta altitudini più decise rispetto all’altopiano delle Murge e collegamenti stradali più tortuosi. Nella bella stagione il viaggio è sicuramente molto gradevole, una gioia per la vista e per il benessere interiore e del corpo. D’inverno, però, le temperature sono più rigide di quelle a noi familiari, quindi è indispensabile essere equipaggiati con indumenti che ti tengano più al caldo e attrezzare l’automobile con le gomme termiche, se non con le catene a bordo.

          A partire dal mese di novembre, quando l’aria ti mette addosso brividi che fanno arricciare la pelle, allora vuol dire che nel potentino c’è stata la prima spolverata di neve. Infatti, se scruti l’orizzonte verso quella regione da un’altura, che so dalla terrazza o dal piano alto di casa, ti accorgi che le cime delle montagne in lontananza sono imbiancate.

          Una volta, per motivi di lavoro, ho dovuto viaggiare in treno per recarmi da Bari a Potenza, perché non mi fidavo della tenuta della mia Passat a causa dell’impraticabilità delle strade coperte da strati di neve ghiacciata. Non potevo mancare, avevo un appuntamento di lavoro irrinunciabile. L’orario delle Ferrovie Calabro Lucane (allora si chiamavano così) indicava cinque ore di percorrenza, ma mi ricordo che l’intemerato trenino ci mise molto più tempo. Ma che cosa era quel viaggio? Mi sembrava di viaggiare su un vagone della vecchia “transiberiana” -la linea ferroviaria più lunga del mondo parte ancora adesso, sebbene con i comfort della modernità, da Mosca intorno a mezzanotte e arriva a Vladivostok sul Pacifico dopo una settimana – sul quale, immaginavo, il capotreno aggiungeva di continuo palate di carbone nella caldaia e dove passeggeri di etnie diverse si intrattenevano allegramente a giocare a carte, addentando di tanto in tanto panini ricolmi di ogni delizia. Nell’aria stantia delle carrozze si diffondevano fragranze contadine e odori paesani. Non sono mai stato sulla Transiberiana, ma in compenso sono stato per anni uno studente viaggiatore sulle gloriose littorine della “Calabro”. Vi assicuro che la sensazione era quella appena descritta.

          Fuori dai finestrini lo spettacolo della campagna bianca e dei paesini ancorati non so come ai costoni delle montagne. Il treno percorre per un lungo tratto il bacino del Bradano, fiume che segna i confini con la Puglia fin verso il Golfo di Taranto.

          Acerenza è situata a 833 metri sul livello del mare, a Nord-Est della provincia di Potenza. E’ sede della Comunità Montana dell’Alto Bradano ed è inserita nel perimetro del Parco naturale regionale del Vulture, area nella quale dopo l’Unità d’Italia si è sviluppato il fenomeno del brigantaggio.

          L’avvocato fiscalista Rodrigo Maria Gaudioso fu incaricato nel 1735 dal re Carlo III di Borbone – che aveva visitato Matera, trovandola del tutto priva di strade con la popolazione sprofondata nella più avvilente miseria – di svolgere un’inchiesta sulla situazione economico-sociale del Regno. L’inchiesta accertò che la Basilicata era la regione più povera del Regno, con poche strade assolutamente impraticabili d’inverno e con una popolazione pur sempre “faticosa, di buon talento ed indole”.

          Lo scrittore Luigi Settembrini, patriota napoletano con il nonno originario di Nova Siri, così scriveva nel 1847: “ La miseria dei miserrimi contadini ti strazia veramente il cuore. Menano la zappa un giorno e non hanno che venti grani per comprare pane e olio. D’inverno cascano dalla fame, cercano un tumulo di grano al proprietario a patto di restituirgliene due e mezzo alla raccolta, e a patto di dargli a godere la moglie o la figliuola”.

          Il giornalista e scrittore leccese Aldo De Jaco nel 1969 scriveva: “In nessun paese del mondo l’agricoltore è tanto povero ed infelice quanto in queste contrade. Egli è macilento, lacero, sudicio, sfinito, triste e muto”.

          Il brigantaggio si accrebbe di tutti coloro che l’indigenza spinse a farvi ricorso come unico mezzo per sopravvivere. Saranno le informazioni e i dati forniti da Giustino Fortunato (storico di Rionero in Vulture) e Francesco Saverio Nitti (economista di Melfi) a far emergere la cruda realtà della regione lucana e a rafforzare la base ricognitiva della “questione meridionale”.

          Ora la Basilicata non è più quella di una volta – pur rimanendo insoluto il problema della maggiore arretratezza economica e sociale dell’intero Sud Italia – grazie a leggi, opportunità di crescita, interventi pubblici che hanno fatto sorgere le industrie della Val Basento e l’agricoltura intensiva del Metapontino nell’area materana, la grande industria nazionale nel Melfese e, da ultimo, l’attività di estrazione del petrolio nella Valdagri.

          Acerenza è un piccolo comune di 2.200 abitanti, che deve la sua importanza alla posizione strategica. E’ nella lista dei borghi più belli d’Italia, in quanto ha saputo conservare il fascino dei tempi passati. La sua economia è prevalentemente agricola e sono uno spettacolo per gli occhi i vigneti che circondano il territorio e che danno il loro apporto produttivo al marchio DOC “Aglianico del Vulture” spesso denominato, per le sue caratteristiche, il Barolo del Sud. La rinomanza dei vini – è anche terra di moscato e di malvasia – ci stimola a percorrere la “Via delle Cantine”, lungo la quale le grotte scavate nella roccia vengono utilizzate per la conservazione dell’Aglianico. La presenza di vini pregiati si sposa appropriatamente con una ricca e gustosa gastronomia, incentrata sulla pasta fatta in casa e sui dolci tipici.                                                                                  

           Acerenza, al pari dei piccoli borghi posti all’interno della penisola, non si è sottratta al fenomeno del calo demografico, essendo gli abitanti scesi da 5 mila nel 1951 agli attuali 2.200. Diciamo che è rimasta un piccolo borgo che deve la sua secolare esistenza alla posizione strategica. Per dirla con le parole del suo illustre vicino di Venosa – Orazio – la cittadina è “Caelsae nidum Acherontiae”, vale a dire “il nido d’aquila dell’alta Acerenza”.

          Un’altra ragione tutt’altro che trascurabile, in grado di spiegare la “fortuna” di Acerenza, è riconducibile all’amministrazione ecclesiastica che l’ha eletta sin dall’antichità sede di Arcidiocesi, oggi suffraganea di quella di Potenza. In tutto, l’Arcidiocesi comprende 17 comuni della provincia potentina con poco più di 40 mila battezzati e 21 parrocchie.

          Ma il quadro non è completo se non consideriamo il privilegio di ospitare un grandioso monumento, oltre che religioso, architettonico e artistico, insospettabile in un’area geografica del Meridione per altri versi ritenuta marginale: la Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Canio che ha fatto guadagnare alla nostra cittadina l’appellativo di “Città Cattedrale”. Di questa singolare opera d’arte diremo più avanti.

          L’origine dell’antica Acheruntia si fa risalire al VI secolo a.C., come risulta dalle citazioni di Tito Livio e di Orazio. Nel Medioevo Procopio ne parla come “fortezza di guerra” e “presidio”.

          La cittadina è stata oggetto di una lunga contesa tra i Longobardi (potere militare) e i Bizantini (potere amministrativo e religioso), alimentata dalla circostanza che gli ufficiali longobardi di stanza nel territorio locale si sentivano più vicini ai funzionari bizantini accreditati presso lo stratega di Bari, il quale rappresentava l’Imperatore d’Oriente in Italia. E Acerenza divenne così uno dei centri del conflitto tra la Chiesa d’Oriente e la Santa Romana Chiesa.

          Nel 1061 il condottiero normanno Roberto il Guiscardo rende la cittadina una roccaforte di difesa dalle rappresaglie bizantine e consente la costruzione della Cattedrale (XI-XIII sec.). Secondo la tradizione la località già nel Trecento è sede vescovile. Nel 799 il santo vescovo Leone II, morto in Terrasanta, fece trasportare dall’antica città di Atella della Campania ad Acerenza il corpo di San Canio, martire di origine cartaginese vissuto nel III secolo. Nell’872 il vescovo Pietro II fece trasferire da Grumentum le reliquie di un altro santo, San Laverio. Nel 1059 il vescovo Godano, grazie ai meriti acquisiti con la partecipazione al Concilio di Melfi, ottenne il titolo di Arcivescovo.

          La fabbrica della Cattedrale fu avviata dall’Arcivescovo Arnaldo verso la fine dell’XI secolo; durante i lavori furono rinvenute le reliquie di San Canio. Tuttavia ad oggi non c’è traccia né di queste né di altre e ciò ci fa comprendere facilmente come il possesso delle reliquie sin da quei tempi costituisse uno strumento promozionale, per accrescere il prestigio e la ricchezza della città.

          Per chi arriva dalla Puglia, la città mostra il profilo di Nord-Est, offrendo in visione la maestosa Cattedrale, sulla vetta del borgo, che domina il panorama circostante. Le abitazioni si distribuiscono intorno alla rupe e sono collegate da una rete di stradine strette e tortuose che ogni tanto si allargano davanti al sagrato di una chiesa. Ad Est il castello ormai ridotto a pochi ruderi, ad Ovest la Cattedrale.

          L’imponente monumento è di stile romanico-normanno, o meglio romanico-cluniacense per via dell’impronta data da Arnaldo, che era stato Abate di Cluny e si avvalse di architetti francesi. Fu lui che la consacrò nel 1080 a S.Maria Assunta e S.Canio.

          Il modello della fabbrica è uguale a quello della SS. Trinità di Venosa: un grande edificio a tre navate con coro allungato e cappelle radiali. Tale schema non faceva parte della tradizione italiana dell’epoca, ma era diffuso oltralpe. Colpisce la dimensione della Chiesa che appare fuori misura rispetto al borgo. Un’abside profonda contornata dal deambulatorio con le cappelle è costruita su un grande transetto delimitato da altri due vani absidati. Due piccole torri scalari, alte e slanciate, segnano l’attacco tra il transetto e il coro (la descrizione architettonica è tratta dall’art. “Acerenza” di Luisa Derosa in “Puglia e Basilicata. Città d’arte”. Mario Adda Editore, 2004).

          La facciata principale è molto semplice ed è affiancata dalla torre campanaria che, invece, è piena di elementi decorativi inseriti nel XVI secolo. Bellissimo il portale, costituito da un arco di insolita altezza che inquadra l’ingresso vero e proprio. Sull’archivolto sono scolpite figure mostruose e fantastiche, nudi, danzatori e musici che sono un’allegoria della lussuria, cioè sono figure asservite al peccato e affiancate da animali come la scimmia e la sirena anch’essi simboli per eccellenza del peccato carnale. Nel Medioevo l’ingresso all’edificio sacro segnava il confine tra il luogo del Bene e della Fede e il regno del peccato. Pertanto, le raffigurazioni dei vizi rispondevano a un insegnamento morale. Sullo stipite laterale sinistro è raffigurata una scena di vendemmia avente significato eucaristico; alla base c’è l’immagine del Buon Pastore che allude al sacrificio di Cristo che ha reso possibile il trionfo sul peccato.

          L’interno della Chiesa risulta ampiamente restaurato. Al di sotto del coro agli inizi del’500 fu costruita una piccola cripta, affrescata dal pittore lucano Giovanni Todisco. E’ uno scrigno che contiene esempi mirabili dell’arte rinascimentale.

          A questo punto, però, l’arte e la storia deviano da un sentiero di normalità per assumere un aspetto enigmatico e inquietante.

          Secondo l’analisi storico-artistica effettuata dallo Studio Legale dell’avvocato Raffaello Glinni – nativo di Acerenza e appassionato di storia – nella Cattedrale sarebbe sepolta la Principessa Balsa, figlia del despota di Romania Vlad III Tepes chiamato Vlad l’Impalatore, ovvero il Conte Dracula portato alla notorietà dal romanzo gotico di fine ottocento dello scrittore irlandese Bram Stoker.

          La principessa rumena sarebbe arrivata in Italia a 7 anni nel 1480, al seguito della famiglia dell’eroe albanese Skanderbeg cui fu affidata dal padre per salvarla da morte sicura, in quanto la patria era stata invasa dai turchi. I profughi furono accolti dal Re di Napoli in virtù dei rapporti di alleanza sanciti con la fondazione dell’Ordine del Drago. Il despota di Romania, sodale dell’Ordine, aveva adottato nel suo blasone il simbolo del drago, ragione per la quale prese il nome di Dracula. La Principessa Maria Balsa fu adottata dal Re di Napoli che la diede in sposa nel 1499 al nipote Giacomo Alfonso Ferrillo, Signore di Acerenza.

          La discendenza di Maria Balsa fu tenuta nascosta a causa della scomunica inflitta a Dracula da parte della Chiesa Cattolica. Ma proprio nella Cattedrale, e soprattutto nella cripta fatta erigere dai Signori Ferrillo-Balsa nel 1524 si riscontrano numerosi segnali rivelatori della vera origine della Principessa. Appare evidente il legame con i Santi rumeni Andrea e Giorgio, raffigurati nella cripta: una croce ad X – la cosiddetta croce di S. Andrea –compare a primavera sul pavimento della cripta illuminata dalla luce che filtra dalle finestre della Cattedrale.

          Il blasone visibile sulla facciata esterna della Cattedrale è un “drago alato” che sovrasta un elmo e lo stemma dei Ferrillo. Nel blasone è presente anche una stella, che ancora una volta ci rimanda allo stemma di Dracula, il quale divenne despota nell’anno del passaggio della cometa di Halley.

          Incredibile, ma ci sono ancora altri segnali nei bassorilievi e sugli affreschi: su un cornicione della cripta sono scolpiti i profili della Balsa, di Ferrillo e, in senso opposto, quello di un Signore posto di spalle all’altare (nell’arte significa che ha voltato le spalle a Dio) dai lineamenti inquietanti con le narici dilatate, il mento barbuto prominente come la fronte e i denti ben in vista. Tutti questi elementi richiamano i più noti ritratti di Dracula.

          Sotto il cornicione un affresco raffigura la Madonna e Gesù Bambino che voltano le spalle al Signore misterioso di prima. Un altro affresco rappresenta Santa Marina di Antiochia – scampata per miracolo alla persecuzione dei turchi, proprio come la Balsa – che schiaccia con il piede il drago, dipinto con le narici, il riccio della barba e la fronte simili a quelli del Signore misterioso. Anche qui il drago dà le spalle all’altare.

          Nella cripta, infine, un bassorilievo raffigura il demone biblico femminile Lilith, incinta, nota perché appare solo di notte per succhiare il sangue agli uomini, soprattutto ai neonati.

          Un altro mistero racchiuso nella Cattedrale è quello del bastone miracoloso di San Canio. Come sappiamo, il Vescovo dell’epoca nascose i resti del Santo, mentre lasciò visibile il bastone pastorale in un altare in pietra. Da allora si verifica un fenomeno incomprensibile alla ragione umana. Pur essendo chiuso in un cassone sigillato, molti lo vedono muoversi all’interno tanto da farsi toccare dai visitatori, o meglio da chi si è appena confessato.

          Per concludere, Acerenza si aggiunge alle località che vantano la custodia del Sacro Graal, il famoso calice biblico, che sarebbe stato portato qui dal fondatore dell’Ordine dei Cavalieri Templari Ugo dei Pagani, nativo del luogo. Infatti, Acerenza è stata individuata quale luogo di passaggio e di sosta dei Crociati in viaggio per o di ritorno dalla Terrasanta.

Giuseppe Marrulli

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