Via micaelica murgiana: Santeramo può dire modestamente la sua

Trovo molto bella e originale l’idea della via micaelica murgiana per rivitalizzare il culto in onore di S. Michele Arcangelo, Principe nobilissimo delle Angeliche Gerarchie, anche in chiave culturale ed economica. Santeramo può dire modestamente la sua.

            Come in altre comunità, non solo murgiane, la devozione santermana verso S. Michele è molto radicata nella fede e nella tradizione popolare. Nelle chiese locali principali, vengono venerate effigi di diverse forme artistiche che ritraggono S. Michele nel tipico atteggiamento di valoroso Guerriero dell’Altissimo con la spada sguainata e con il demonio sconfitto sotto i suoi piedi. Tra queste merita un rapido accenno la statua in pietra di S. Michele, di buona fattura e in buono stato di conservazione, presso la Chiesa del SS. Crocifisso di Santeramo. Fu donata alla comunità santermana da Donna Vittoria Canaviglia, moglie di Giambattista Caracciolo, Marchese di Santeramo dal 1639 al 1683. Ma “il pezzo più pregiato” dell’antica tradizione micaelica santermana lo si trova nell’insediamento rupestre della Grotta di Sant’Angelo.

            Mai nessun dubbio sul fatto che questo Angelo sia Michele. Splendida la descrizione che di questo sito ha fatto il compianto Mons. Ignazio Fraccalvieri nel libro “L’icona del giudizio universale” (Edizione Adda, Bari, 1975) per ricordare il XVI centenario della morte di S. Efrem di Siria (373 – 1973) che fino a qualche anno fa era molto venerato a Santeramo il Lunedì dell’Angelo presso la Chiesetta della Pietà.

            La grotta è ubicata nel tratto Santeramo – Cassano della SS 271, al km. 4,200, in contrada Cortofinocchio. Più precisamente, in una depressione di origine carsica detta di Lago Travato. Il complesso è strutturato su due livelli: la grotta e tre sovrastanti locali. Quello centrale è stato adibito a chiesa per poi essere utilizzato come fienile quando cessò l’attività religiosa che ivi si svolgeva. All’interno delle grotta, tuttora inibita al pubblico per motivi di sicurezza nonostante diversi interventi di recupero che hanno interessato la parte esterna del complesso, vi sono incantevoli affreschi rupestri che attendono da molto tempo di essere ammirati.

            Fino agli anni ’70 la grotta, molto sottovalutata per la sua straordinaria importanza, era meta di escursione di ragazzi santermani, tra cui lo scrivente, per “vantarsi” del fatto che si era stati capaci di scendere nella cavità e, semmai, di portare a casa, come un trofeo, un pezzo di un qualcosa che le apparteneva, quasi sempre un frammento di formazioni carsiche.

            Quando è iniziata a maturare la consapevolezza dell’importanza del sito, si è corso ai ripari per proteggerlo. Si è fatto un po’ come la storiella che circonda il monastero napoletano di S. Chiara: “Prima andarono a rubare e poi si fecero i cancelli di ferro”. Mons. Fraccalvieri, con i pochi mezzi tecnici che aveva a disposizione, fece una sublime descrizione della grotta e, in particolare, degli affreschi. Da pag. 10 riprendo un passaggio: “A sinistra della grotta e della nicchia un affresco di m. 2,50 per 1,90 riproduce la Vergine che ha il Bambino in braccio, S. Michele, a sinistra di chi guarda, e S. Giovanni Evangelista, a destra. S. Michele ha in mano un turibolo bizantino ed incensa in direzione della Madonna. Nell’angolo superiore esterno sono visibili le iniziali del nome: MICH.” Aggiunge Mons. Fraccalvieri a pag. 12 che “la datazione degli affreschi si può far risalire all’XI – XII secolo”. La grotta è dedicata a Gesù Cristo. Scrive Mons. Fraccalvieri: “Al centro è raffigurato Cristo, seduto su un trono con pulvino, sormontato da un baldacchino… Cristo ha la testa al centro di un nimbo circolare; gli occhi aperti affondano nell’infinito; la sua mano sinistra regge un libro con la scritta mal ridotta: Ego sum lux mundi; la mano destra, invisibile per la rovina dell’intonaco, si può supporre che sia in posizione benedicente, con pollice e anulare uniti, come in tutte le icone simili”. “Fanno compagnia” all’affresco principale, una serie di altre raffigurazioni di personaggi celesti, tra cui – almeno in due affreschi – S. Michele Arcangelo. In uno dei due affreschi, S. Michele è “armato” di turibolo e non di spada.

            Nella chiesa bizantina, l’uso dell’incenso nelle celebrazioni è diffusissimo, forse per mettere in pratica i versetti 3,4 e 5 del capitolo 8 del libro dell’Apocalisse: “Poi venne un altro angelo e si fermò all’altare, reggendo un incensiere d’oro. Gli furono dati molti profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull’altare d’oro, posto davanti al trono. E dalla mano dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme con le preghiere dei santi. Poi l’angelo prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto”. Forse questo affresco è la prova provata del passaggio in questa grotta dei Monaci Bizantini per poi essere sostituiti da altri ordini nel corso dei secoli successivi. Studi ulteriori potrebbero meglio datare la descrizione di questo affresco micaelico in ragione della Messa in forma extra ordinaria o Messa di San Pio V, (Pontefice Romano dal 1566 al 1572) quando viene fatta la preghiera: “Per intercessione di San Michele arcangelo, che sta alla destra dell’altare dell’incenso, e di tutti i suoi santi, il Signore voglia benedire questo incenso e accoglierlo come profumo a Lui gradito”. Tanto di più, senza nulla togliere alla grandezza del lavoro di Mons. Fraccalvieri, lo si trova nel libro “Il santuario di Sant’Angelo a Santeramo” di Roberto Caprara, Domenico Caragnano, Franco Dell’Aquila, Giuseppe Fiorentino e Luciano Rampino (Mario Adda Editore Bari, 2008), ovvero di cinque “calibri da 90” in materia di studi scientifici anche di questo genere di insediamenti rupestri.

            In esso si trova la ricchezza della comprensione di questo monumento che, almeno nel circondario, non ha equali e che può “competere” anche con l’importanza del santuario micaelico del Gargano. Straordinaria la presenza sule pareti della grotta di centinaia e centinaia di graffiti che raccontano il passaggio, in epoca diversa, di tanta storia per i quali “ci attende – affermano gli autori – un lavoro lungo e faticoso di lettura, catalogazione, interpretazione”, forse anche di epoca pre cristiana”.

            Con i mezzi che i validi autori del libro hanno utilizzato, è stato anche accertato che in un secondo affresco della grotta, molto rovinato, che Mons. Fraccalvieri aveva ipotizzato fosse una Madonna col Bambino, è raffigurato l’Arcangelo Michele “in posizione frontale, con le ali aperte, il globo nella mano sinistra e nella mano destra la lancia che trafigge la bocca del drago”. Per queste succinte note, allora, Santeramo può far parte a pieno titolo dell’idea della via micaelica murgiana che, ovviamente, va “tracciata” a misura di interesse storico, artistico e culturale, e resa praticabile nei modi e con le iniziative più opportune da individuare. Innegabile il fatto che questa grotta ha rappresentato un qualcosa di molto grande per Santeramo e, più in generale, per il territorio murgiano.

            Nelle pagine finali del libro, il prof. Luciano Rampino ha scritto: “Non sappiamo con precisione quando questo importante centro di preghiera e pellegrinaggio dedicato al culto di San Michele Arcangelo si trasformò da eremo o santuario in grotta a complesso subdivale, e da quale ordine e quale regola fosse gestito, considerato che non si può dare per scontata una presenza benedettina a causa della contemporanea esistenza sull’area di monaci di rito greco (orientale) e italico (occidentale). E’ però molto probabile che al primo insediamento in grotta da parte di monaci orientali, sia succeduto un monachesimo di tipo benedettino, il quale non prediligeva lo stanziamento rupestre, ma, acquisito il rito, provvedeva a costruire edifici fuori terra, più idonei alla sua vita di comunità”. Chi vivrà, vedrà.

Cav. Franco Porfido

Con la collaborazione di Angelo Virgintino

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