Michele Denora, uno dei primi a portare il pane di Altamura negli Stati Uniti

Michele Denora e sua moglie Irene vivevano ad Altamura, Michele era un noto imprenditore nel settore dell’edilizia e aveva una vita eccezionale alle spalle. Era stato uno dei primi a portare il pane di Altamura negli Stati Uniti. Uno dei tanti emigrati che nel dopoguerra italiano cercarono il riscatto e un futuro migliore, e lo costruirono con sudore e fatica dall’altra parte del mondo. 

            Il Coronavirus ha provato a cancellare la memoria di una grande famiglia, ha tentato di prendersi la scena finale, ma non ci è riuscito. “Sono stati il collante di una famiglia estesa”, racconta adesso Michele junior, uno dei tre figli (stesso nome del padre).          

            I genitori li hanno persi ad aprile, a distanza di poche settimane l’uno dall’altro: prima è morto papà Michele, il 9 aprile a quasi 79 anni, poi mamma Irene a 69, il 22 aprile. Il virus li ha toccati prima che si potessero vaccinare, nonostante Michele senior avesse già una prenotazione (per il 12 aprile) e Irene fosse diabetica. “Sappiamo che i medici hanno fatto tutto il possibile”, dice adesso il figlio. È stato difficile mantenere i contatti con i genitori, entrambi ricoverati ad Altamura. Niente videochiamate, ogni tanto i messaggi di conforto dei figli arrivavano a destinazione tramite gli infermieri. Michele junior e i fratelli ricevevano aggiornamenti una volta al giorno, dall’ospedale. “Magari per determinati pazienti la vicinanza dei propri cari sarebbe il farmaco migliore”, riflette. Non è possibile a causa dei protocolli e per il timore dei contagi, però.

            E adesso Michele senior e Irene Denora non ci sono più. Resta però vivo il ricordo della storia di una famiglia unica. Michele Denora aveva imparato a fare il pane da piccolino, e quell’esperienza se l’era portata dietro negli Stati Uniti, dove arrivò con la famiglia, che a sua volta aveva già cercato condizioni di vita migliori al Nord Italia e in Germania. “Una volta lì iniziò a lavorare in un forno di bitontini”. Poi una serie di eventi che varrebbero la sceneggiatura di un film: Michele Denora per guadagnare qualcosa in più va a lavorare in un altro forno durante i weekend – anche questo di un pugliese – e quando il proprietario va in pensione rileva l’attività. E non si ferma al pane: “Erano otto fratelli, e cominciarono a produrre pure focacce, rustici e panzerotti – ricorda il figlio omonimo – praticamente lavoravano tutti, fino a 22 ore al giorno: fratelli e sorelle di mio padre e pure le loro mogli e i mariti”.

            Il forno di Union City – nell’area metropolitana di New York – cresce, i prodotti arrivano nei supermercati e nei grandi negozi. Michele Denora senior evidenzia il suo spirito imprenditoriale, fa anche commercio di pentole con l’Italia, “e addirittura a fine anni 70 alcuni dirigenti Sony gli chiesero se voleva portare in Europa i compact disc, solo che probabilmente non si rese conto di cosa potevano diventare”. Alla fine Michele tornò in Italia – anzi, ci tornò prima la moglie Irene, con il piccolo Michele – e lì si è reinventato come imprenditore edile. “Il primo impianto polisportivo privato di Altamura è suo – prosegue il figlio – forse è stato uno dei primi in Puglia”.

            A quasi 79 anni Michele Denora era attivo e autonomo. “Mentre aspettava l’ambulanza per andare in ospedale ha voluto farsi la barba e vestirsi elegante, ha indossato la camicia”. Perché voleva essere in ordine. Perché il Covid-19 non poteva mica mettere in secondo piano una persona così. Ora lui se n’è andato, seguito da sua moglie Irene. “Ed è stato un grande peccato non poter onorare la loro scomparsa con i funerali”, dice il figlio Michele junior. Sarà impossibile dimenticarli, e non solo per i familiari: il forno a Union City esiste ancora, si chiama Clemente Bakery e prende il nome dal marito della sorella più piccola di Michele senior. “Un’industria, più che un semplice forno”. Dove non mancano taralli, focacce e calzone di cipolla. Perché Altamura resta sempre dietro l’angolo.

La redazione di Algramà

da “la Repubblica” del 30 aprile 2021

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