Da Le Macchie di Santo Spirito a Santa Chiara
di Giuseppe Bolognese
Ligio al proposito iniziale di riferire sui miei pellegrinaggi di questa estate, mi compiaccio raccontare la tappa conclusiva. Il ciclo è iniziato con la relazione sul viaggio nell’Ohio verso la fine di maggio per rivedere i miei compagni di liceo, la gloriosa Mariemont High School, sessant’anni dopo il diploma (1964). Dei 123 della compagine originale ne mancavano due terzi, tra assenti giustificati per force majeure (leggi “in congedo permanente da questo pianeta”) e impossibilitati da circostanze esistenziali; ho intitolato Lettera dalla America quel primo rendiconto, valendomi del ricordo della ricca rubrica Letter from America che il giornalista e saggista inglese Alistair Cooke inviava settimanalmente alla BBC di Londra, giuppersù come faceva il nostro Ruggero Orlando (“Qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando…”) nello stesso periodo. Molti ricorderanno il trasporto affabulatorio del corrispondente siciliano, e persino i commenti divertiti che mettevano in dubbio la sua sobrietà durante il collegamento televisivo da New York.
Il secondo comunicato statonico riguardava il breve soggiorno a Montedoro, località su cui sorge il nostro ospedale regionale, potenzialmente in cima alla graduatoria nazionale, grazie all’eccellente personale medico e paramedico. A distanza di cinque settimane dall’intervento per protesi d’anca (già sbilenca) posso dire con somma gratitudine che siamo in ottime mani. Solo ieri un medico-dentista laertino mio amico mi ha riferito di aver preferito l’Ospedale della Murgia per i propri controlli clinici; e una signora munita come me di bastone canadese, incontrata per caso nella piazza principale di Laterza, ci ha tenuto a dirmi che sa del primato dell’Ospedale della Murgia per i casi difficili di intervento al ginocchio. Nei quattro giorni di permanenza al Perinei ho goduto dello incoraggiamento di un amico che dirige il reparto di Ostetricia e Ginecologia. Mi ha esposto con entusiasmo il suo piano di espansione nel settore della Medicina Rigenerativa per le pazienti del suo reparto. “È la strada maestra da percorrere”, gli ho detto, perché a me – laico tra medici – pare evidente che la meravigliosa rigenerazione della mia anca si colloca a pieno titolo in quel filone lungimirante.
Quel secondo comunicato si chiude con il mio trasferimento a Le Macchie di Santo Spirito per la riabilitazione postoperatoria.
Questa terza memoria ha il sapore di un pellegrinaggio religioso oltre che esistenziale, un pò come l’aringo del Paradiso dantesco, guardacaso alla vigilia della memoria liturgica di San Giacomo il Maggiore, quello venerato a Compostela. In effetti, dire “da Santo Spirito a Santa Chiara” suggerisce proprio una lunga camminata devota dall’Adriatico più vicino a noi al convento delle Clarisse mie vicine di casa. Ebbene, l’analogia ascetica ci sta a pallino: dalla riviera adriatica sono tornato al mio ovile a 485 metri slm, e dalla mia terrazza si gode lo spettacolo dei grillai che si alzano in volo maestoso dai tetti della mia casa, ove s’annidano, e dalla grande terrazza del dirimpettaio Monastero di Santa Chiara (1682). E l’analogia con il percorso ascetico è sancita solennemente dal fatto che alle preghiere delle Clarisse si sono unite le intercessioni beneauguranti dei Benedettini di Roma e di Montefano, dei Benedettini dello Sri Lanka e di tanti amici in Tasmania, ad Adelaide, a New York e nell’Ohio che “tifavano” per la mia guarigione rapida. Quasi dimenticavo i Padri agostiniani di Roma. Sta di fatto che il percorso clinico della riabilitazione è durato venti giorni, con due settimane abbondanti di anticipo sul previsto. Bisogna credere per capire, sentenzia Sant’Agostino, e la proposizione contraria non regge alla prova della Verità. La tifoseria dei Benedettini nasce dalla consapevolezza del mio volume su Carlo Maria Cardano (appena pubblicato da Rubbettino Editore), uno straordinario missionario benedettino nato ad Altamura e vissuto eroicamente per 54 anni nel Ceylon – odierno Sri Lanka – dove è sepolto dal 1925.
Per giunta ho avuto la fortuna di essere assistito con cure puntuali e addirittura amorevli – dettate dalla misericordia che sottende alla compassione umana – dal personale medico e paramedico. Ho persino conosciuto una infermiera di Trani in cui ho istintivamente riconosciuto la passione totale di Florence Nightingale (nomen omen, il cognome significa usignolo), l’infermiera angelo degli infermi, ”The Lady with the Lamp” ispiratrice della Croce Rossa Internazionale. Si chiamava Florence perché nata a Firenze nel 1820 (e la sorella si chiamava Parthenope, nata a Napoli), che il nostro Maestro delle Elementari citava ad esempio di umana compenetrazione nella sofferenza del prossimo. Lui, ufficiale dell’ARMIR ferito e reduce, aveva vissuto tanti episodi di sofferenza estrema.*
Le peripezie, i dissapori e le amarezze non si devono espungere se davvero vogliamo imparare dalla Storia; ma è altrettanto vero che il lieto fine prevale sulle sofferenze e volentieri si imprime nella memoria attiva: All’s Well That Ends Well, titola Shakespeare, quanto dire che vale la pena accettare la sanatoria del bene.
*Ho scritto del Maestro Esposito nella rivista MATHERA, “Altamura 1929: Il Viaggio Premio”, n. 21 (2023) pp. 201-206; poi in AlGraMà, q.v.