Economia globalizzata e responsabilità del contagio

Come in tutte le grandi sciagure che colpiscono l’umanità – le pandemie al pari delle guerre – interviene prima o poi la fase del “redde rationem”, nella quale sono passate al setaccio, non solo dell’opinione pubblica ma della stampa e delle istituzioni competenti per materia, le anomalie, le irregolarità, le inefficienze e i comportamenti rilevanti sotto il profilo amministrativo e penale.

          In Italia sono in corso le indagini della Procura di Bergamo sull’ipotesi di epidemia colposa causata dal mancato aggiornamento dei piani pandemici, che potevano, ad esempio, evitare che ci trovassimo sforniti dei dispositivi di protezione individuale e degli antivirali. Un’altra questione oggetto di indagine è la mancata istituzione della zona rossa ad Alzano e Nembro nonché la chiusura e poi l’immediata apertura dell’ospedale di Alzano.

          E al vertice della sanità internazionale non è ben accetta la decisione del giudice bergamasco di sentire i funzionari dell’organizzazione, dopo il coinvolgimento del numero due Ranieri Guerra sul problema dei controlli in tema di aggiornamento dei piani.

          A livello globale s’impone l’indagine circa le cause che hanno impedito che il contagio si propagasse dalla Cina a tutto l’Occidente e, quindi, al Pianeta, diventando pandemia.

          Di chi è la colpa? Si tratterà di individuare specifiche responsabilità personali e istituzionali, avendo già acclarato gran parte dei dubbi di ordine scientifico e sanitario.

          Nel 2017 sale al vertice dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) l’etiope dott. Tedros Adhanom Ghebreyesus eletto con 130 voti, contro i 50 voti ottenuti dal candidato britannico. Incredibile ascesa di un ex ministro della sanità di un paese africano, nel quale aveva cercato di nascondere tre epidemie di colera, secondo le accuse degli osservatori internazionali. Ha fatto scalpore, in seguito, la sua scelta di nominare un presentatore della tivù di stato cinese come “ambasciatore di buona volontà” dell’OMS e di confermare nello stesso ruolo la consorte di Xi Jinping.

          Tali accuse e indiscrezioni hanno rafforzato il sospetto che, all’inizio della pandemia, Ghebreyesus abbia tentato di coprire i supposti ritardi informativi del governo cinese. Infatti, a metà gennaio 2020 l’OMS non aveva ancora preso in seria considerazione che il virus potesse trasmettersi da uomo a uomo, come segnalato da Taiwan già due settimane prima.

          A questo punto mi torna in mente l’assillo: come mai l’Italia è stata il primo paese occidentale ad essere colpito dal contagio? Ci ricordiamo tutti della reazione di sdegno suscitata in molti dalle scene di intolleranza verificatesi nei confronti dei cinesi rientrati in Italia dal loro capodanno, quando era ormai di dominio pubblico l’esistenza del focolaio di Wuhan. “Diplomaticamente” l’Italia non aveva interdetto il traffico aereo con la Repubblica Popolare.

          In questa, come in altre circostanze, secondo quanto riportato dal giornalista Federico Fubini nel libro “Sul vulcano”, l’Italia ha tenuto un atteggiamento ambiguo durante le assemblee per eleggere i segretari delle più rilevanti agenzie dell’ONU in grado di incidere sulle infrastrutture commerciali, tecnologiche, sanitarie e di trasporto dell’economia internazionale globalizzata. L’atteggiamento è consistito nel non prendere quasi mai apertamente posizione avverso le candidature cinesi – sempre proposte per la guida delle agenzie delle Nazioni Unite – anche quando si trattava di scegliere chi mettere a capo di attività in cui esisteva un manifesto interesse contrario alle posizioni cinesi. E’ il caso dell’elezione del Segretario Generale della FAO (Food and Agricultural Organization) con sede a Roma, dell’elezione del capo della WIPO (Agenzia che si occupa della protezione dei segreti industriali e del copyright). Con il risultato che ora esponenti cinesi sono alla guida diretta di quattro agenzie ONU su quindici – compresa quella che gestisce gli standard del 5G nelle telecomunicazioni e gli standard delle tecnologie di sorveglianza –  e che la Cina è riuscita a far eleggere in altre agenzie rappresentanti di paesi con essa indebitati.

          L’esempio più eclatante di questa sorta di vicinanza del nostro paese alla Cina è costituito dal memorandum d’intesa per l’adesione alla “Via della Seta”, firmato a Roma nel marzo 2019 con l’intervento personale di Xi Jinping. La Via della Seta è un coacervo di circa 140 accordi che coinvolgono quattro continenti. Per la prima volta la Cina raccoglieva il consenso di uno stato dell’Unione Europea, uno dei primi sette paesi più industrializzati a regime democratico. Come nei vecchi imperi coloniali – vi ricordate della britannica Compagnia delle Indie, che si avvaleva anche del porto di Brindisi per il traffico commerciale con l’Oriente? – la Cina ha per obiettivo quello di assicurarsi esclusive commerciali a vantaggio della propria economia.

          Per i paesi poveri, come l’Etiopia di Ghebreyesus, la firma del memorandum serve ad accedere ai prestiti delle banche di stato cinesi, necessari per la costruzione delle infrastrutture (autostrade, porti ecc.).

         Allora quali sono veramente le ragioni della strategia internazionale di Xi Jinping? Avere dalla propria parte i paesi sovvenzionati quando, in sede internazionale, vengono messe ai voti iniziative contrarie agli interessi di Pechino. Inoltre, grazie agli accordi commerciali, i governi interessati rappresentano altrettanti voti utili per far eleggere propri candidati a capo delle agenzie multilaterali dell’ONU.

          Così i paesi occidentali sono divenuti più vulnerabili, mentre il ruolo della Cina si è sviluppato enormemente grazie alla globalizzazione.

          Dagli anni Novanta il PIL pro capite mondiale ha accelerato in virtù del progresso tecnologico e, appunto, della globalizzazione. Oltre un miliardo di persone sono uscite dalla povertà assoluta, pur in presenza di un aumento della popolazione mondiale di oltre 2 miliardi concentrato, peraltro, nei paesi meno sviluppati.

          Tuttavia, mentre in Occidente il prodotto è aumentato di 2 volte, nelle economie emergenti e in via di sviluppo la crescita è stata di 4 volte e nelle economie asiatiche di oltre 8 volte. Sicché, come è facile dedurre, si sono ridotti i divari di reddito a livello globale, cioè le differenze tra l’Occidente e il resto del mondo.

          Parallelamente è cambiata però la distribuzione dei redditi all’interno dei singoli paesi, sia avanzati che emergenti. In altri termini è cresciuta la diseguaglianza tra i ricchi (pochi) e i poveri (moltissimi) all’interno dei singoli paesi. La disuguaglianza globale si è così “internalizzata”.

 Giuseppe Marrulli 

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