Se hai vent’anni vattene dall’Italia

Abbiamo riletto un articolo di qualche anno fa: riflettiamo insieme. L’articolista nel 2013 scriveva: … a un ragazzo che oggi compie 20 anni direi di andare via dall’Italia. Gli direi di prendere la borsa, il cellulare, due libri e un po’ di musica e lasciare questo paese. Vattene perché se hai vissuto i tuoi primi 20 anni in questa nazione non hai visto niente dei cambiamenti del mondo. Sei rimasto indietro. Fai una cosa: vattene. Non ascoltare chi ti dice che solo chi resta resiste davvero. Lascia questo paese. Scopri la bellezza di altri corpi e di altri odori. Di altri cibi. Fai politica. Sì, fai politica. Perché non è tutto una “merda”. Ma scegliti altri maestri. Eduardo De Filippo avrebbe detto Fujetevenne. Io ti scrivo vattene. Vattene per imparare che non è vero che una laurea ti forma. Vattene perché la festa che i tuoi vogliono organizzare è una pagliacciata di cui non hai bisogno. Ciò che hai in mano è un pezzo di carta, non conta niente. Non c’è nulla da festeggiare. Si festeggia il futuro, non il passato. Parti, lasciaci qui. Prendi un volo per il nord e respira la bellezza del senso di comunità. Perché la vicina che ti dà lo zucchero non c’entra nulla con l’empatia. E’ un modo per sperare che un giorno anche tu farai lo stesso. Essere una collettività è la condivisione costante e silenziosa delle regole che consentono a tutti di andare avanti. E questo noi non sappiamo neanche cosa sia. Collettività non è svegliarsi una mattina e ricostruire ciò che è andato in fumo ma lavorare ogni giorno nel silenzio. Parti e torna solo se sarai convinto che è giunto il tuo tempo. Torna solo se hai visto il cambiamento e pensi sia giusto riportarlo indietro. Torna con i sogni di un ventenne e le spalle di un adulto. 

Alcuni commenti all’articolo pubblicato in quegli anni: “[…] Parti ma ricordati che il cibo non ha lo steso sapore, la gente non si comporta nello stesso modo né è sempre ad aspettarti con le braccia aperte. Ricordati che nonostante la Ryanair non vedrai molti momenti belli e brutti della tua famiglia e dei tuoi amici, che ricostruire la tua vita da zero in città in cui la gente va e viene di continuo non è facile, che la solitudine è sempre dietro l’angolo. […] Ricordati che quando parti non vai in Erasmus, diventi un immigrato con il tuo bagaglio culturale e gli stereotipi a esso associati. Ricordati che Eldorado è solo un mito e che per arrivare all’oro devi prima scavare e non è detto che la miniera sia quella buona. […] Ricordati tutto questo, fa un bel respiro, preparati e, poi, parti”.

Altri commenti ancora: “Partire, viaggiare e vivere in altri Paesi è un’esperienza formativa a cui non dovremmo, possibilmente, rinunciare. Viviamo in un mondo così piccolo da poter essere esplorato tutto sullo schermo di un pc eppure così grande da ospitare ad un tempo sfarzo e carestie, guerre e benessere, sempre un grande elemento di crescita personale. Quindi sì, partire è necessario. Accettare la sfida della lingua, della cultura, della diversità. Buttarsi a capofitto e provare a dare il massimo. E crescere, fare esperienza, imparare il più possibile dagli altri. E poi, in futuro, tornare. Tornare diversi, con la mente aperta, con idee nuove e tanti sogni. E soprattutto tanta voglia di fare per realizzare anche a “casa” il meglio di ciò che si è visto altrove”.

Dare consigli, specie ai ragazzi, non è impresa facile. Tu, giovane che leggi questi scritti, che idea ti sei fatta? 

Noi riteniamo che devi essere tu, da solo, a decidere.  Rifletti sul mondo che ti circonda e decidi, da solo, se lasciare o meno questo paese. Ciascuno è artefice del proprio avvenire si direbbe. Auguri. 

La redazione 

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