Altamura 1929: il viaggio premio

di Giuseppe Bolognese

Il 30 aprile 2023 segnerà il ritorno in aula dei condiscepoli, allievi del secondo quinquennio del Maestro Esposito, dal 1952 al 1957: la dirigente scolastica in carica del IV Novembre, Giuseppa Crapuzzi, rifarà l’appello: ciascuno dei presenti risponderà “PRESENTE!” A ciascuno degli assenti giustificati un applauso dei condiscepoli.

Gli assenti sono giustificati dalla memoria, dal ricordo commosso di ciascun condiscepolo (così si riferiva agli alunni il Maestro Esposito) in cogedo permanente da questo pianeta… ma non si tratta soltanto di selezione naturale, di sopravvivenza anagrafica. Le foto di gruppo dimostrano inscrollabilmente che alla Quinta si erano ridotti a venticinque i condiscepoli della Terza: in definitiva, il compimento della Quinta Elementare e il passaggio alla Scuola Media era ancora privilegio o scelta del 60% degli alunni, a giudicare dal nostro coacervo. Era campione certamente significativo il nostro, dato che Altamura era un importante bacino scolastico di raccolta nell’immediato dopoguerra e nei decenni susseguenti.

Mi auguro vivamente che qualcuno – non importa se in seno alla cerchia dei reduci o dall’esterno – decida di tracciare un profilo statistico delle vicende personali dell’allegra brigata; settant’anni sono tanti ma non troppi, e le vicende vissute sono storiograficamente mature per tracciare un quadro d’insieme di sogni realizzati e delusioni recuperate in sogno. Siamo i non-più-giovani convinti che la vita è un grande dono, che val la pena viverla anche quando s’incupisce di circostanze avverse. E poi c’è il richiamo delle origini, l’archetipo celebrato da Ulisse che torna alla sua Itaca, l’avventura del viaggio circolare  fissato sul piano trascendentale dalla Navigatio Sancti Brendani o dallo spettacolare Itinerarium mentis in Deum di San Bonaventura che, ispirato alla mistica agostiniana, offre la falsariga alla Commedia di Dante.

La calamita delle origini fa sì che chi si allontana a lungo dalle proprie radici senza mai abbandonarle si rigenera ogni volta che torna “a casa”. Alcuni dei condiscepoli tornano ad Altamura dopo più di mezzo secolo, altri dopo qualche decennio, altri ancora dopo settimane: ciascuno con la propria storia, e il piacere del rientro, il privilegio di abbracciare i compagni che forse faranno fatica a riconoscere è il denominatore che accomuna i condiscepoli.

Offro un esempio tratto dai miei sessant’anni di viaggi nel piccolo mondo moderno. Nel maggio del 1996 il mio collega caposquadriglia degli scout (ASCI) volle sorprendermi con la recensione di una mia piccola raccolta di racconti, Murgia, Antipodi e Ciclopi (Tarsìe per una cornice agli incontri pirandelliani di Agrigento), a cura del Centro nazionale di studi pirandelliani, 1994. La recensione uscì in Piazza e diceva tra l’altro: “È una rievocazione ironica, appassionata, molto calda, umanissima. E di tanto in tanto, qua e là, emerge il nome della città di Altamura che – a noi pare – per il Professor Bolognese rimane sempre un ‘punto di partenza’ e, forse, un ‘punto di arrivo’. Va letto questo libricino anche per tali ragioni, oltre che per il piacere di incontrare un lessico accattivante, apparentemente semplice, comunque originale, fresco, vivo”. Ecco, Fabio Perinei ha azzeccato: Altamura è sempre stato un punto di riferimento costante, sempre un punto d’arrivo per un altamurano che ha vissuto a lungo la geografia dell’altrove; ce lo confermavamo puntualmente io e il Maestro Esposito, entrambi altamurani “di fuori”, quindi ogni volta che i nostri rientri all’ovile hanno coinciso, sempre ad Altamura, l’ònfalo dei nostri affetti, il luogo della rigenerazione.

Questo sentito Amarcord coincide con la ristampa della ricca raccolta di Gaspare Cirrottola, parlǝ kɔmǝ t’à ffattǝ màmεtǝ, che testimonia l’importanza di custodire e coltivare le nostre tradizioni, a partire dalla lingua. In tale ottica ho steso volentieri una prefazione al volume.

Il rientro dei compagni del 1952 mi ha pure suggerito di chiedere agli amici di AlGraMà di pubblicare la mia ricostruzione del Viaggio Premio del 1929 che vide Francesco Esposito tra i tre vincitori, tutti altamurani. Il racconto è uscito nel n. 21 di MATHERA e lo ripropongo, con pochi aggiornamenti. Ringrazio di vero cuore Michele Gismundo e Luciano Bolognese per la solerte collaborazione. Sono grato a Pina Crapuzzi per l’aiuto generoso nella ricerca d’archivio.

Correva l’anno 1929. Al timone del Ministero della Pubblica Istruzione si erano avvicendati – durante e dopo le delusioni del “diciannovismo” – filosofi, scienziati, letterati di chiara fama; gli allievi delle scuole complementari (si chiamava così la scuola media riformata) e dei ginnasi sentivano tutto il fascino – se non la responsabilità – della riforma scolastica (1922-24) voluta da Giovanni Gentile. La macchina dello Stato era ben lubrificata, quasi dimenticate le vacche magre dell’immediato dopoguerra. Eppure solo otto anni prima un altro filosofo-ministro, a chi gli chiedeva contributi per commemorare il sesto centenario della morte di Dante, rispondeva:  «Fate come me, rileggetevi la Commedia». Già, l’idealismo di Benedetto Croce era saldamente ancorato alla realtà: rem tene, verba sequentur. Ciò che conta davvero è padroneggiare la cosa, l’argomento, l’essenza della polisemia dantesca: le parole seguono automaticamente, vale a dire che la capacità di esporre compiutamente i concetti della Commedia è risultato naturale dello studio, della passione con cui affrontiamo il testo, non certo della frequenza o dello sfarzo delle commemorazioni.

Erano mutati i tempi. Il ministro Gentile era talmente convinto – a ragione – della validità di quella riforma, che non fece mancare gli incentivi ai giovani volenterosi, studiosi, meritevoli. Il Viaggio premio ai Campi della Patria che si concludeva a Roma era uno degli incentivi, certamente a sottolineare l’impegno del regime a favore dei giovani, altrettanto sicuramente motivo di orgoglio per le scuole frequentate dai premiati: ma soprattutto occasione di sviluppo, trampolino di lancio per i vincitori. Noi, figli della neonata Repubblica, ci rendemmo conto ben presto del potenziale enorme della macchina della propaganda: virtuosa e al limite del miracolo la macchina di Carosello – pronuba Mamma Tv – ma altrettanto efficace l’esperienza del Viaggio premio, stando ai racconti dei nostri genitori o alla testimonianza dei nostri Maestri.

I vincitori del Premio 1929

Altamura non era affatto nuova agli onori scolastici, agli allori accademici. Al vanto della propria università (1748-1811) e dei suoi illustri docenti guidati da Marcello Papiniano Cusani (1690-1766), del Liceo Classico-Tecnico che aveva addirittura preceduto l’Unità d’Italia, si affiancava un elenco molto notevole di allievi (altamurani e non) che le scuole di Altamura avevano catapultato alla ribalta della vita nazionale. Si prenda la Reale Scuola Speciale di Agricoltura, istituita nel quattrocentesco convento dei padri antoniani nel 1872, e trasferita in tronco a Portici pochi anni dopo per sconsiderato desiderio e mancata lungimiranza dei possidenti altamurani. Questi paventavano l’eventualità che si addottorassero i figli dei pastori in una scuola pubblica ormai contraltare delle scuole controllate e gestite dai gesuiti.  Con il beneficio della prospettiva storica, è del tutto evidente l’esito autolesivo della rinuncia: le pressioni insistenti degli agricoltori nel dibattito acceso sul bisogno di incentivare l’economia agraria del Sud sùbito dopo l’unità d’Italia aveva fatto confluire i consensi per l’istituzione dei Comizi Agrari – moderna gilda degli agricoltori – nella Provincia di Bari, sicché Altamura precedette Barletta e la stessa Bari con la formazione del proprio Comizio, e su tale spinta aveva ottenuto l’apertura della Reale Scuola Speciale di Agricoltura. Non sorprenderà dunque che nel 1929 tre tredicenni altamurani  ottenessero l’ambìto viaggio premio: Angela Cornacchia, Francesco Esposito e Francesco Lemma.

2.Francesco Esposito in surplace assistito, circa 1933

Francesco Esposito, il mio maestro

Fin qui l’omaggio – doveroso – all’uovo ledèo. Nell’ottobre del 2005 ho rivisto il Maestro Esposito per l’ultima volta; dopo i cinque anni seminali tra i suoi banchi della Scuola Elementare IV Novembre ci eravamo rivisti tante volte, entrambi altamurani “di fuori”, quindi ogni volta che i nostri rientri all’ovile hanno coinciso, sempre ad Altamura, l’ònfalo dei nostri affetti, il luogo della rigenerazione. C’è stata un’eccezione nel maggio del 1994, quando ci siamo dati appuntamento a Torino (il Maestro si era trasferito a Rivoli con la famiglia nel 1975) in occasione di un mio intervento al Convegno sul tema Letteratura e industria, svoltosi al Lingotto. Durante l’ultimo incontro il Maestro ha voluto ricordarmi la generosità di mio padre – morto nel 1954, quand’ero in Seconda  – come aveva fatto ogni volta che ci eravamo incontrati da più di quarantacinque anni. In quel lontano 1929 Francesco Esposito, nel pomeriggio e fino a tarda sera dei giorni lavorativi, faceva il garzone di mio padre (barba e acconciature maschili al piano terra, acconciature femminili al primo piano della Sala da Toeletta in Piazza del Duomo, nei locali dell’attuale cabina dell’Enel). Il reciproco affidamento di figli e garzoni tra le botteghe di artigiani era prassi consolidata; inevitabilmente nascevano rapporti di solidarietà sincera e duratura tra figli e garzoni: non a caso, frequento ancora oggi la bottega di Donato Lorusso, ultimo “giovane” di mio padre.

A novantatré anni sonati mia madre ricordava ancora i bei ritratti e i fiori che Francesco Esposito eseguiva con i gessetti colorati sulle piastrelle opache, bianche e grigie, del pavimento al piano terra. Passava con grande disinvoltura dal disegno ai testi da studiare, quando non c’era bisogno di lui per rassettare o per le commissioni affidategli dai clienti in attesa. Sveglio, coscienzioso, pieno d’iniziativa, diligentissimo. E dopo le ore di lavoro, la sera, nella bottega   chiusa, c’era il ristoro musicale: giovani strumentisti molto appassionati si univano ai Maestri per chiudere la giornata in bellezza.  C’era appena spazio per una esigua platea di estimatori: mogli, fidanzate, due-tre amici e l’imprescindibile Francesco Esposito. Nel ventennio tra le due guerre i musici presero a riunirsi regolarmente la sera. C’era Antonio D’Alesio barbiere e  fotografo estroso (mandolino e chitarra, editore di cartoline illustrate, decoratore di album di famiglia, disegnatore di cravatte di seta, attivista e satirista politico: opportunamente soprannominato Settevirtù). Mio padre, Giovanni Bolognese, sonava il mandolino, spesso accompagnato da Franz Viti di Caraffa, anch’egli mandolinista. Settevirtù era zio di mio padre, avendo sposato Anna Bolognese, sorella di mio nonno. Violinista provetto, autodidatta, era Antonio Marvulli, cui Settevirtù concesse in sposa la figlia Maria (solo dopo opportuna prova di capacità di reddito del pretendente – da bancario – convinto com’era il futuro suocero che di musica non si campa…). Primo frutto di quella unione fu Michele, oggi novantaquattrenne pianista decano e direttore d’orchestra noto non solo in Italia: argomento che merita più ampia trattazione e che rinvio a un intervento successivo.

5.Francesco Lemma con la signora Maria Andreini e Giovanni, 1951

Il Viaggio Premio

Arrivò il premio. Il viaggio premio assicurava ai premiati le spese di viaggio, vitto e alloggio: tutto il resto era a carico dei partecipanti. Imbarco a Bari per risalire l’Adriatico fino a Trieste, visite a Redipuglia, Vittorio Veneto, il Monte Grappa, poi Trento, infine il raduno di tutti i premiati d’Italia a Roma: salve, cara Deo, tellus sanctissima salve…  Immagino in loro emozioni non dissimili da quelle che ho sentito ad ogni rientro in Patria, scolpite nella memoria dal Petrarca latino con i primi esercizi di stile nell’aula della Professoressa Cornacchia, con il Latino obbligatorio.

Il profilo socioeconomico dei tre premiati era decisamente ineguale. Angela Cornacchia e Francesco Lemma appartenevano a famiglie benestanti, certamente in grado di fornire ai figli i danari necessari per le spese velleitarie: qualche cartolina, un ricordo qua e là e persino un gelato, un dolce locale; stravaganze del tutto impensabili in casa Esposito: «Ci pensò Mastro Giovanni – mi riferì il mio Maestro – e non lo dimenticherò mai, caro Peppino». Aveva gli occhi lucidi e qualche iato nella voce mentre mi diceva queste parole, e certamente notò che anche i miei occhi luccicavano. Francesco Esposito era nato in via San Michele il 3 ottobre 1915 e lì era cresciuto, a due porte dalla casa in cui si sarebbero stabiliti i miei genitori dopo le nozze, nel 1932.

7. Francesco Esposito e i suoi allievi, prima degli esami di ammissione alla Scuola Media, Giugno 1957

Tutti gli alunni del Maestro Esposito hanno conosciuto la sua emotività, il trasporto con cui ci raccontava, nella stessa mattinata, una visita indimenticabile a Canne della Battaglia, l’epica disavventura dell’Armir, o l’incontro ravvicinato con i lupi famelici della steppa russa che incutevano maggior  terrore della fame straziante dei commilitoni mandati allo sbaraglio. Lui si era arruolato ventiduenne nel 39º Reggimento Fanteria Bologna e nel settembre del 1942 partiva per la Russia con il 109º Battaglione Mitragliatori Autocarrato, assegnato all’8ªArmata (Armir), «sempre col tricolore tra le braccia».

Io avevo una ragione in più per entusiasmarmi alle parole del Maestro: mia madre era d’accordo con sua sorella maggiore – validissima insegnante formata nell’Istituto Magistrale Marzia degli Ordelaffi di Forlì – che avrei sostenuto gli esami per il passaggio diretto in Seconda, avendo io dedicato tutta l’estate del 1952 a prepararmi per il “salto”. Le signore, ancorché mosse da nobili sentimenti, avevano fatto i conti senza l’oste, perché proprio nel 1952 il Maestro Esposito iniziava un nuovo quinquennio. La mia iscrizione alla classe Prima era stata concordata da Mastro Giovanni con il suo garzone assai prima che le signore preparassero il lancio del vispo rampollo postbellico. Sic erat in fatis, e così fu. Abbinamento giudizioso e fatidico di occasioni e finalità, poiché alla preziosa esperienza formativa si accostava la crescita quotidiana di amicizie che ancora oggi arricchiscono lo spirito dei tanti che sono stati tra i banchi del Maestro.

L’8 febbraio 2006 è scoccata l’ora dell’ultimo viaggio premio del Maestro, a duplice vettore: il volo centrifugo dell’anima alla Gerusalemme celeste e il rientro centripeto delle spoglie all’antica Madre, in fondo al viale della dea silenziosa dove riposano i nostri avi.

Angela Cornacchia

Angela Cornacchia (1916-1993) abitava in via San Michele, nel Palazzo Martucci, a pochi passi dalla prima abitazione dei miei genitori e dunque proprio dove era cresciuto Francesco Esposito. Il mondo pareva più piccolo e le consuetudini del vicinato lo comprimevano, si sa…  La signorina Cornacchia si laureò brillantemente in Lettere nell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano. Era la vigilia della Seconda guerra mondiale e comunque non accettò l’invito a restare come assistente nell’ateneo fondato da p. Agostino Gemelli. Ne aveva caldeggiato la candidatura Mario Apollonio (molto vicino alle tesi di David Maria Turoldo), ma la neolaureata preferì tornare ad Altamura ed intraprendervi la carriera di docente nelle scuole medie e superiori, con sommo vantaggio e arricchimento intellettuale di tutti gli allievi, inclusi i tanti da lei “rimandati a settembre”.

Angela Cornacchia fu presto affiancata da un’altra studiosissima ventitreenne laureata dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Maria Florinda Bruni (1918-2006), più giovane della Cornacchia di appena due anni. Recentemente ho avuto modo di leggere la tesi di laurea della Bruni (1941) sulle versioni cinquecentesche del De consolatione philosophiae di Severino Boezio e ho potuto apprezzarne l’esposizione cristallina, il metodo filologico impeccabile. Nel triennio 1957-59 della Scuola Media – intitolata a Eugenio Pacelli a seguito della morte del Papa nel 1958 – la sezione maschile della Professoressa Cornacchia era a due porte dall’aula femminile della Professoressa Bruni: tale prossimità stuzzicava vivo interesse (certamente reciproco) tra gli allievi delle due aule, e suscitavano invidia quelli di noi che, incaricati d’ambasciate, magari da caposquadra, riuscivano a infilarsi nell’aula della giunonica Professoressa Bruni e delle sue ragazze. La straordinaria vicenda umana di Maria Florinda Bruni merita di essere studiata e raccontata: impegno che ho già assunto con me stesso e con i suoi nipoti.      

8. La professoressa Maria Florinda Bruni con le allieve di Terza media, 1960

Molti allievi del Maestro Esposito si ritrovavano tra i banchi della Scuola Media (era l’unica ad Altamura, l’attuale Scuola Mercadante) dove spiccava la figura austera e compassionevole della Professoressa Cornacchia. A lei devo, soprattutto, l’amore per il Latino. La sua lunga carriera nella Scuola Media e nei Licei continuò – dopo la messa a riposo – nel volontariato per la formazione delle giovani donne che non avevano compiuto la scuola secondaria. Al volontariato incoraggiava anche nella sua veste di presidente dell’Azione Cattolica di Altamura, instancabile fino all’ultimo giorno.

9. Nozze d’oro, 1998

Francesco Lemma

Nel 2017, a centouno anni, l’avvocato Francesco Lemma è salito al piano trascendente. Don Ciccio era figura storica e di riferimento per la cittadinanza in genere, in maniera particolare per i giovani tirocinanti di pratica legale e per gli studenti avidi di conoscere la storia culturale del nostro territorio. Ci ha lasciato una bibliografia notevole, ma ci sono settori – non soltanto di àmbito giuridico – ai quali ha dato contributi seminali. Qualche mese fa ne parlavo con suo figlio Giovanni, mio amico fin dalle scuole elementari che risiede a Foligno; gli ho confermato che io sarei stato già molto grato a Don Ciccio se avesse pubblicato soltanto lo studio sul commercio e il trasporto della neve dalla Murgia al Salento, intervento esaustivo, illuminante, esemplare, pubblicato in due parti nel bollettino Altamura (n. 10 e n. 17).

Francesco Lemma era stato Sindaco di Altamura nel 1956. Nell’aula del Maestro Esposito si parlava di lui con grande ammirazione. Aveva ottenuto pieni voti al Liceo Cagnazzi, confermati dalla laurea summa cum laude in Giurisprudenza all’Università di Napoli nel 1939; in quell’inverno glaciale del ’56 aveva resistito alle aspre proteste dei braccianti che chiedevano pane e lavoro con minacce fisiche, tanto che il Sindaco fu costretto a pernottare nella Casa comunale e fu necessario l’intervento dell’esercito per proteggere il Municipio e gli edifici viciniori.

Ricordo l’ansia di mia madre per mio fratello, barricato per ore nella Banca Agricola Commerciale, durante gli assalti della turba di rivoltosi. E di rivolte drammatiche e sanguinarie avremmo saputo nell’autunno di quello stesso anno, con l’ingresso dei carri armati sovietici in Ungheria. Le associazioni studentesche organizzarono anche un simbolico funerale della libertà in segno di solidarietà con il popolo ungherese. Per ironica coincidenza, la penuria che aveva spinto i braccianti alla protesta violenta era stata causata dalle nevicate straordinarie di quell’inverno. Avevo dieci anni ed ho un ricordo vivido dell’impegno generoso degli spalatori che aprivano un valico nella neve alta più di un metro e mezzo per consentire il transito della bara di mia nonna da Piazza San Giovanni.

Nello studio dell’avvocato Lemma, trasferito nei pressi della sua abitazione agli inizi degli anni Settanta, si veniva accolti amabilmente, da vecchi amici nonostante la notevole differenza di età. Più recentemente, quando don Ciccio aveva superato i novant’anni, ho avuto il piacere e il privilegio di ospitarlo una sera nel mio studio, a casa mia, conclusa anche la mia carriera di docente in tre continenti. Quella sera ha voluto darmi del lei e io gli ho sùbito fatto notare che, pur avendo accumulato sei decenni d’esperienza, rimanevo il compagno di scuola di suo figlio da altrettanti decenni. «Prendo atto del suo punto di vista, professore, ma il lei se l’è guadagnato, e io glielo dò molto volentieri». Il giorno precedente gli avevo telefonato per chiedergli ragguagli e conferme sul viaggio premio del 1929, perché era morto da poco il Maestro Esposito e volevo ricordarlo ai miei compagni di scuola. L’avvocato è venuto a trovarmi e in circa tre ore di piacevolissima conversazione mi ha fornito dettagli meticolosi sul viaggio, arricchiti del parere critico di un illuminato.

Postilla doverosa e compiaciuta
Devo alla squisita sensibilità della signora Maria Casanova, vedova del Maestro Esposito e lucidissima novantacinquenne, l’aver ritrovato l’unica fotografia della Quinta Elementare del 1957 , documento rarissimo, in assenza della rituale foto di gruppo con il grembiule nero d’ordinanza. Il documento è prezioso sia per i compagni ancora in vita che per l’omaggio commosso ai molti in congedo permanente da questo pianeta. Testimonia anche il calo nettissimo di allievi tra il quarto anno (eravamo trentanove) e il quinto (nella foto venticinque candidati  agli esami di ammissione alla scuola media). Al centro della foto, in bici, c’è anche Tommi (1951-2010), figliolo del Maestro e ligio alla prassi convinta di suo padre in merito al beneficio imprescindibile dell’attività ginnica. Tommi è con i genitori nella foto che li ritrae in occasione delle nozze d’oro il 27 settembre 1998. Ringrazio Anna Maria Pesce per avermi fornito copia della foto.

2 thoughts on “Altamura 1929: il viaggio premio

  • 7 Aprile 2023 in 15:38
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    Sono rimasto colpito dalla narrazione meticolosa della vita Altamurana dei ns tempi trascorsi. In particolare del ns maestro F. Esposito che io ho avuto fino alla IV elementare. Ricordo ancora oggi la sua severità che ci permesso di raggiungere i ns traguardi. A distanza di molti anni ci siamo rivisti in Comune e ci siamo salutati con enorme commozione. I ricordi non si scordano mai. Grazie x questa narrazione del tempo passato e del presente che ci accompagni ancora x un lungo e sereno periodo. Buon pomeriggio e una felice e serena Pasqua e te e la tua famiglia.

  • 12 Aprile 2023 in 06:48
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    Il tuo racconto lodevole non poteva essere interessantissimo. La storia la scrivono gli uomini con le proprie festa, i loro sacrifici , il lavoro, lo studio. Altamura è grande perché grande l’hanno costruita i suoi figli. Grazie Gianni anche la tua storia converge verso quella più grande che è la città e il suo territorio. Sono ansioso e mi ritengo fortunato per poterne leggere i primi passi.

I commenti sono chiusi.

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