Ninì Langiulli ricordato a Gravina anche dagli amici altamurani
A tre anni dalla morte (30 marzo 2020), l’avvocato più amato e rispettato a memoria dei viventi che lo hanno conosciuto è stato argomento di affettuose rievocazioni. L’incontro si è svolto venerdì 28 aprile nella Sala San Giovanni Paolo II del Palazzo Episcopio, gremita, anzi traboccante di gente àvida di approfondire le doti poliedriche dell’amico, del professionista, del ricercatore, dell’artista, dell’umile quanto straordinario testimone di una fede profondamente cristiana che si è manifestata in opere e con parole “più durature del bronzo”.
I versi dialettali di Tèrr’a sulagne (Terra solatìa), componimento eponimo della raccolta del 1991, hanno aperto i lavori; li ha detti Raffaella Langiulli con tono sognante e con poche, sapienti note di commento musicale emesse dalla chitarra del cugino, Tommaso Colafiglio. Ecco la strofe di chiusura dell’invocazione e augurio alla propria terra:
Tèrr’a sulagne, tèrra bella mai,
ma dacassì nan pòute cùndenué!
E tu a le gravenise, a tutte quande,
dinge la stòria tàua tànd’andiche
e a chisse figghie tàu falle mbaré
ca jè u fatiche ca fòisce le crestiòine,
ca jè u temòure de Ddì ca fòisce cambé.
È una strofe eptastica, tripudio di metafonesi che manda in brodo di giuggiole anche lo studioso abituato ai suoni più ricercati del nostro paradiso di dialetti. Il verso finale è l’autoritratto dell’avvocato-buon cristiano, forte e generoso nella convinzione della ricetta d’una vita esemplare: lnitium Sapientiae timor Domini. (Ps 111, 10), cui fa eco l’avvertimento perentorio di Siracide 27,4: Si non in timore Domini tenueris te instanter, cito subvertetur domus tua, ossia che tutto l’edificio spirituale che avrai costruito ti crollerà addosso nel momento in cui rinnegherai u temòure de Ddì.
Non sorprende quindi constatare che i versi di Langiulli sono saldamente ancorati ai testi sapienziali, soprattutto nei Salmi che ha tradotto in vernacolo gravinese nel corso di lunghi anni, pubblicati con somma soddisfazione di lui il 20 febbraio 2020, quaranta giorni prima che la pandemìa lo collocasse in congedo permanente da questo pianeta.
Sull’impegno ecclesiale dell’Avvocato sono intervenuti Mons. Ricchiuti, vescovo della Diocesi di Altamura-Gravina in Puglia-Acquaviva delle Fonti, Giancarlo Loglisci della Comunità di Gesù, Michele Gismundo, i fratelli Michele e Agostino Giglio, Raffaella e Maddalena Langiulli – rispettivamente figlia e sorella del Nostro. Molto numerosa e con forte carica emotiva la partecipazione di tanti avvocati che si sono formati nello Studio Legale Langiulli, incluso il figlio Pasquale, il succitato Giancarlo Loglisci e tanti altri presenti in sala. Non poteva sfuggire all’attenzione dello scrivente il proprio nipote Piero Dipalma, esempio tra i tanti degli storici matrimoni tra altamurani/e e gravinesi, ennesima dimostrazione della infondatezza della presunta rivalità tra le due città in progressivo ravvicinamento fisico.
Felicetta Cilifrese, avvocato anch’ella, ha portato il saluto e il ricordo sentito della civica amministrazione. Parole affettuose per il padre, memorie e devozione hanno espresso Raffaella e Pasquale Langiulli, figli devoti che hanno promosso la serata voluta e sostenuta da Mons. Ricchiuti. I gravinesi e non solo loro conoscono il notevolissimo contributo che Ninì Langiulli ha saputo dare alla crescita spirituale della Diocesi.
Altrettanto significativa e assolutamente coerente è stata la presenza dell’Avvocato nella vita politica della città; ne ha tracciato compiutmente le tappe Giuseppe Massari, pubblicista e storico della città.
La sorella Maddalena ha descritto un quadro idillico dei nove germani Langiulli, cinque maschi e quattro femmine distinti in ante-bellum e dopoguerra, gli otto più giovani teneramente legati al primogenito Nunzio (Ninì) e in ansia durante l’assenza di lui studente di Giurisprudenza alla Sapienza di Roma
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Devo il mio felicissimo incontro con Ninì alla mediazione di don Giacomo Lorusso, che ebbe ad accogliermi fraternamente nella prestigiosa Biblioteca Finia di cui ignoravo l’esistenza otto anni fa. Cercavo le radici della mia famiglia negli archivi di Stato e nelle raccolte capitolari. Conscio dell’origine verisimile di un cognome toponomastico come il mio, ero certo di poter usare Bologna solo come indizio assai remoto, tant’è che nella Capitolare di Altamura scoprii che il mio trisavolo era nato a Gravina nel 1789. Nella mia storia personale quella data assunse importanza pari a quella della Rivoluzione francese! Il giorno seguente – un pomeriggio canicolare del 2014 – mi imbattei in un signore ai piedi della scalinata della Finia, alle Quattro Fontane: meno di cinque minuti dopo ci demmo del tu, come amici di vecchia data. Avevamo scoperto di avere in comune:
•origini miste, altamurane e gravinesi
•la passione per la poesia
•l’amore del dialetto e degli studi classici
•lunghi anni di militanza nell’ASCI, nell’Azione Catttolica, nella FUCI, nel Movimento Studentesco e nella stampa cattolica
•l’impegno convinto per ridare lustro alla Finia, collaborando intensamente con l’archivista don Giacomo
•il comune sentire con l’ormai comune amico Luigi Viscanti
•l’ottimismo inespugnabile del cristiano, sostenuto dalla Fede, e il rispetto totale per la sacralità della vita fin dal suo concepimento.
Che dire? Amore fraterno a prima vista! Il sentimento si è rinsaldato negli anni, com’è naturale tra sodali. C’è voluto poco tempo per concludere che mi era toccato in sorte un tesoro di Amico, quello che t’affianca nella ricerca della Verità, del vero Bene, che t’incoraggia a rinunciare all’amor proprio, ai supervacua: “Adunque ci conviene tollere da noi quella cosa che ci tolle il lume, cioè l’amore proprio, che è una nuvola che non ci lascia cognoscere né vedere la verità di quello che dobbiamo amare”. Il consiglio viene da molto alto: lo scrive Santa Caterina da Siena nel Dialogo della Divina Provvidenza.
Prima di entrare nella Finia quel pomeriggio Ninì mi volle riferire la leggenda ancora viva che le poderose catene che proteggono Le quattro fontane furono aggiunte dopo lo screzio dell’abbattimento della porta maggiore della Cattedrale di Altamura intorno al 1550: si voleva scongiurare il pericolo che gli altamurani, per ripicca, portassero via il bel monumento acquifero! Ne ridemmo divertiti, ma sùbito ci impegnammo per trasformare la presunta rivalità in collaborazione leale e proficua tra le nostre città. Se la candidatura di Altamura e Gravina a co-capitali della cultura sortisce il risultato che è nei voti di tutti, mi prodigherò perché venga riconosciuto il giusto merito a Ninì Langiulli.
Tutto ciò che ha fatto, Ninì lo ha fatto con amore, ligio all’insegnamento della prima lettera di Paolo ai Corinzi e dell’Epistola di Giovanni ai Parti: ama et fac quod vis, che Sant’Agostino commenta e assume a motto personale.
Altro, tanto altro mi piacerebbe dire di Ninì Langiulli. Ho appena accennato ai suoi meriti insieme con i suoi familiari e i tanti amici la sera del 28 aprile. E molto ancora scriveremo e faremo a memoria sua: infelice il cristiano che si accontenta delle parole, delle buone intenzioni.
Il 31 marzo 2020 don Giacomo mi ha informato del decesso di Ninì il giorno precedente. Mi trovavo ad Adelaide, all’altro polo, “clausurato” a causa del Covid. Avevo abbracciato Ninì nel mese di ottobre del 2019, nella Chiesa parrocchiale Mater Ecclesiae di Gravina, dopo la Santa Messa celebrata da don Giacomo in suffragio di mio fratello Michele, che si era spento il 3 agosto del 2019. Non sapevamo che sarebbe stata l’ultima volta: “Quanto è il tempo nostro? è quanto una punta d’aco… Solo dunque questo punto del presente c’è, e non più”. Così constata e insegna Santa Caterina da Siena, ancora nel Dialogo. Inviai a don Giacomo un pensiero in versi da consegnare alla signora Rosa, per ricordare Ninì e mio fratello Michele:
Transeamus contra
[Marco 4: 35-41]
Passiamo all’altra riva,
sereni, fratello, senza frastuono,
totale la fede in Colui che dorme
tranquillo a poppa, pur nella burrasca.
Qui non il male oscuro,
qui non regna la morte del Leviathan.
La luce ci attende là, sulla riva
che chiude il Genesaret:
il Paradiso è nel segno di Giona,
fuori dalle tenebre,
è Ninive salvata dal Signore,
nel silenzio di Giona.
Per Ninì e Michele
31 marzo 2020