La Ricostruzione a Gravina in Puglia 1943 – 1947

La Ricostruzione fu il periodo della storia d’Italia che va dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni ’50, periodo che precede il miracolo economico italiano degli anni ’60 e ’70. Il giornalista e scrittore Aldo Cazzullo ha pubblicato di recente un libro dal titolo “Giuro che non avrò più fame”, e come sottotitolo “L’Italia della Ricostruzione”, edizioni Mondadori. Il giornalista riprende dal film “Via col vento” la scena di Rossella, una ragazza che torna nella sua fattoria, la trova distrutta, e siccome non mangia da giorni strappa una piantina, ne rosicchia le radici, la leva al cielo e grida: “Giuro che non soffrirò mai più la fame!”. Un giuramento collettivo che poi fu ripetuto da milioni di italiane e di italiani. Fu così che settant’anni fa venne ricostruito un Paese distrutto, che aveva perso una guerra mondiale. Gli italiani di quella straordinaria stagione avevano il senso del riscatto e la fiducia nell’avvenire, bisognerebbe ritrovare quello spirito. Nel nostro Paese si parla poco del periodo della Ricostruzione, sbagliando. Nel libro “La Ricostruzione a Gravina in Puglia 1943-1947”, scritto dal prof. Michele Gismundo, i veri protagonisti sono i nostri nonni, con la loro straordinaria capacità di lottare insieme, per il “pane e lavoro”, per la rispettabilità calpestata, perché senza lavoro si perde qualsiasi dignità umana. Gravina fu definito “il paese più turbolento della provincia di Bari”, una città ribelle, dei primi anni del secondo dopoguerra. Infatti alcune fonti inedite “scovate” nell’Archivio di Stato di Bari ci raccontano di una città rivoluzionaria si direbbe, a causa della miseria e della povertà che dilagavano in quasi tutte le famiglie. Si offrivano muscoli a giornata agli agrari, per una misera paga, nella tratta delle braccia a Porta San Michele e in Piazza delle Some (oggi Piazza Notar Domenico), ma non tutti trovavano lavoro. E dopo lunghe ore di attesa molti cafoni tornavano a casa sfiduciati, ed all’alba partivano per la campagna, in cerca di funghi, lamponi e cicorielle, per poi venderli al mercato. Viene appurato, dai documenti storici della Prefettura di Bari, che in quegli anni le manifestazioni di protesta erano all’ordine del giorno e si trasformavano in rivolta, nella maggior parte giuste rivendicazioni. Dalle comunicazioni al prefetto, da parte dei Commissari prefettizi dell’epoca, pubblicate nel testo, apprendiamo che si requisivano centinaia di agnelli dalla produzione armentizia locale e grossi quantitativi di formaggio per le popolazioni di altre città, mentre ai gravinesi non veniva fatta assegnazione di carne e alimenti essenziali per diversi mesi; giacevano grandi disponibilità di pasta a disposizione degli uffici provinciali dell’alimentazione, mentre la popolazione soffriva la fame. Bisognava lottare per la sopravvivenza. Il popolo gravinese era stanco di essere succubo di pochi proprietari terrieri, i quali, in genere, si erano arricchiti con malizie e furberie, frodando e rubando, durante il periodo precedente. In pochi guazzavano in tanta abbondanza e la stragrande maggioranza del popolo soffriva la fame. Gravina bracciantile, con le sue agitate manifestazioni di piazza, costrinse il prefetto di Bari ad emettere il 12 novembre 1944 il primo decreto d’imponibile di manodopera per i disoccupati agricoli, il primo in Italia. E la lotta contro i padroni delle terre diventò sempre più violenta, a muso duro, perché gli agrari puntualmente rifiutavano gli ingaggi della manodopera proposti dalle Commissioni paritetiche comunali. La propaganda anticlericale dilagava, insultando, denigrando vescovo, sacerdoti e religiosi: la Chiesa si trovava in cattive acque, perché non riusciva a stare con la classe operaia. Il vescovo Fra Giovanni Maia Sanna fu costretto ad intervenire verso i “signori agricoltori”, supplicando loro di assicurare un po’ di lavoro agli sventurati. Il suo appello rimase inascoltato. Le condizioni di vita dei lavoratori erano impressionanti. In quegli anni a Gravina si ribellò la vita. E nelle prime elezioni democratiche amministrative del 24 marzo 1946 tutta Gravina votò per il Partito comunista (24/30 seggi) e nel Referendum istituzionale del 2 giugno ’46 votò in massa per la Repubblica (60,56%). Una delle punte avanzate dei combattivi movimenti contadini della Puglia fu certamente Gravina. Non mancò in quegli anni la presenza e l’opera di alcuni malviventi che disonorarono la regione intera. Il volume racconta di una umanità con sofferenze indicibili, di tumulti di piazza e di azioni di lotta violenta contro le forze dell’ordine. Ciò che non si voleva accettare, allora, e ancora oggi in tanti ambiti, è un concetto fondamentale, il principio della solidarietà che è lievito evangelico indispensabile per una società politicamente evoluta. E’ il caso di chiedersi se, dopo 70 anni, sia davvero cambiato qualcosa o l’aria che si respira sia sempre la stessa. Il testo è particolarmente rivolto alle nuove generazioni perché riflettano su quelle storie, storie che ci interpellano ancora oggi, ci dicono che esistono grandi ideali e sogni da realizzare, per cui vale la pena battersi e che vi sono ancora buone cause da far trionfare. La prefazione è curata dal prof. Pietro Elia, edizione Centrostampa, Matera 2017, pp. 208. Mai dimenticare da dove si viene: non si diventa uomini se non si conosce la storia delle proprie radici. Gli adulti hanno il dovere morale di raccontare ai giovani la storia dalla propria comunità.

One thought on “La Ricostruzione a Gravina in Puglia 1943 – 1947

  • 17 Gennaio 2019 in 12:46
    Permalink

    Mirabile la sintesi effettuata dall’ Avv. Gianni Moramarco sul libro del prof. M. Gismundo. Da par suo, l’Avvocato ha saputo evidenziare il fondamento storico – documentario dei fatti narrati nel testo e soprattutto lo spirito reattivo ad oltranza di una popolazione letteralmente affamata che lottava per la sopravvivenza: proprio in questa urgenza consiste “il caso Gravina”, non di certo in una reazione sterile e fine a se stessa. Per comprendere a fondo tale reazione occorre viverle quelle vicissitudini. D’altro canto l’accentuato anticlericalismo a Gravina è derivato dall’ insensibilità di larga parte del Clero di allora: Tranne poche eccezioni, come il vescovo sardo mons. Sanna, e qualche altro sacerdote, la maggior parte dei preti erano figli di padroni terrieri che non volevano assumere manodopera.

I commenti sono chiusi.

Questo sito utilizza cookie. Possiamo usare direttamente i cookie tecnici, ma hai il diritto di scegliere se abilitare o meno i cookie statistici e di profilazione. Abilitando questi cookie, ci aiuti ad offrirti una esperienza migliore. Privacy policy