Ognissanti e Defunti: storia, tradizioni e dolci tipici.

Molte autorità cattoliche hanno difeso il diritto di festeggiare Halloween, contestando l’opinione che sia una festa pagana, pur criticando la consumistica versione moderna. Halloween deriva da “All Hallow’s Eve” che significa Vigilia di tutti i santi.

Nell’antica Grecia si offrivano cibi e dolci ai defunti. Già nel VII sec. a.C. le fave erano legate al ricordo dei morti. Nell’antica Roma durante le “Parentalia” si portavano cibo e vino sulle tombe e l’ultimo giorno (Lemuria) si preparavano dolci chiamati “liba”, offerti agli dei Mani per placare gli spiriti dei morti. La zucca era associata al dio Priapo ed il suo uso si ritrova nel Corpus Hippocraticum del 400 a.C. Samhain è una parola gaelica che significa “fine dell’estate” (il capodanno celtico) giorno in cui, secondo i Celti, gli spiriti tornavano sulla Terra. Nel I secolo l’impero romano conquistò parte del territorio celtico e le feste romane si mischiarono alla celebrazione di Samhain. Con la diffusione del Cristianesimo alcune tradizioni cominciarono ad essere cristianizzate. Nel 609 papa Bonifacio sostituì i Lemuria con il giorno di Tutti i Santi, festeggiato il 13 maggio fino a quando papa Gregorio lo spostò al 1º novembre e Samhain divenne la vigilia di tutti i Santi (Halloween). Nel X secolo si aggiunse la festa dei defunti del 2 Novembre. Dopo l’immigrazione di massa irlandese e scozzese nel XIX secolo Halloween divenne una festa importante in America. In Irlanda c’era la tradizione di intagliare le rape per la notte di Tutti i Santi, ma la zucca era più morbida, grande e facile da trovare in America.

Anche in Italia esistono diverse tradizioni simili. La notte dei “Fucacoste e cocce priatorje” (Falò e teste del Purgatorio) è una festa di Orsara, in provincia di Foggia, che risale almeno al XI secolo: la sera del 1 novembre in ogni via e piazza c’è un falò e un banchetto in onore dei defunti e si espongono le zucche illuminate. Gli abitanti pongono davanti all’uscio o sulla finestra di casa dell’olio in una bacinella d’acqua sormontata da una lampada, o candele benedette e la zucca, per consentire ai defunti di individuare la propria abitazione. Alle 19 i rintocchi della campana di San Nicola danno il via all’accensione di più di 100 falò. Si fa ardere la ginestra, un arbusto che poi scoppietta e si volatilizza in uno sciame di scintille che legano cielo e terra, l’atmosfera si fa suggestiva e i bambini ne rimangono ammirati. Alle 23 il paese è attraversato dagli incappucciati bianchi per la processione della Confraternita delle Anime del Purgatorio che va verso la Chiesa dei Morti. Il cibo inizialmente era semplice: vino rosso, carne, patate, cipolle e castagne. Il grano bollito è alla base del dolce (Muscitàglia) poi si aggiungono i chicchi di melagrana, il mosto cotto e a volte noci e cioccolato.

A Manfredonia la sera del 1 novembre, sulla spalliera del letto dei bambini vengono poste grosse calze di lana, che vengono riempite di dolci facendo credere che sia merito dei defunti. Le case sono illuminate da ceri accanto ai quali vengono sistemate le foto dei defunti e santini. A Putignano per le notti del 30 e 31 ottobre vie e vicoli sono tradizionalmente popolati da streghe, vampiri, zombie e fantasmi in cartapesta. A San Marco in Lamis il 31 ottobre si rivivono le tradizioni con l’evento “Joje je gnenzante” (Ognissanti) compresa la sagra delle caldarroste e dei dolci alle mele cotogne. Durante la questua i bambini bussano alla porta intonando un’antica filastrocca per chiedere mele cotogne, fichi d’india e uva. La Colva o Grano dei morti, è tra i tipici dolci pugliesi; si prepara a Barletta, Bitonto, Bisceglie e Foggia e ha origine greche. Al grano cotto si aggiunge il vin cotto, noci e mandorle tritate, cannella, uva sultanina, fichi secchi, scaglie di cioccolato e chicchi di melagrana.

Le Fanfulicchie di Lecce sono dei bastoncini di zucchero colorato e attorcigliato, al gusto di menta, vendute nei giorni dell’1 e del 2 novembre assieme ai giocattoli in legno. A Napoli il giorno dei Morti venivano aperti gli ossari con gli scheletri dei defunti, che venivano decorati con fiori, mentre a Salerno era costume preparare cibo per i defunti, le cui anime si credeva tornassero alle loro antiche dimore il 1 novembre. Anche in Friuli c’era già la tradizione di intagliare le zucche a forma di teschio.

In Sicilia è radicata la tradizione di festeggiare i defunti dal 31 ottobre al 2 novembre per conto dei quali vengono fatti regali ai bambini: pupi di zucchero,  frutta di Martorana e altri dolci tipici, a volte nascosti “costringendo” i piccoli a una caccia al tesoro. La frutta di Martorana sono riproduzioni di frutta con farina di mandorle e zucchero (in Calabria si chiamano morticeddi). I Pupi di zucchero (o pupaccena): sono statuette di zucchero riccamente decorate. A Erice i più piccoli dopo essersi svegliati e aver visto i regali, corrono al convento a ringraziare i morti per la loro generosità. Altri dolci di queste feste sono le Fave dei morti (in Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche e Umbria) biscottini bianchi alla mandorla, di forma ovoidale e schiacciata.  

 In Piemonte le ossa dei morti sono biscotti. O’ Morticiello detto anche Torrone dei morti a base di cacao e cioccolato, in Campania è così chiamato per la sua somiglianza ad una cassa da morto. Le Rame di Napoli a Catania sono biscotti morbidi al cacao ricoperto di cioccolato. I Biscotti catalani tipici di Palermo sono ricoperti di zucchero chiaro o al cacao. Le Ossa dei Morti in Piemonte e Lombardia sono biscotti dalla forma un po’ allungata e dal colore chiaro. In Sicilia, le “Ossa dei morti sono chiamate anche Scardellini, Paste di Garofano, Moscardini, cruzziteddi o mustazzoli. Le Dita di Apostolo sono dolci di marzapane, le piparelle sono biscotti croccanti fatti con le mandorle (Messina), i ‘nZuddi (i Vincenzi), sono biscotti di mandorle, miele, farina e cannella (Catania); esistono anche i Tetù bianchi o neri e le Reginelle, biscottini ricoperti di semi di sesamo. 

A Sinnai come in tante zone della Sardegna si è conservata la tradizione per cui i bambini nella mattina del 1° Novembre bussano per chiedere “Is Panixeddas”, in cambio di una preghiera per i morti, oppure ricevono caramelle, cioccolatini, frutta, castagne, noci, dolci o qualche soldino. Panixeddas significa piccola offerta. Nel resto della Sardegna il 1° o il 2 Novembre si usano diversi nomi Is Animeddas e is Panisceddas nel sud, Su ‘ene ‘e sas ànimas o su Mortu Mortu nel nuorese, su Prugadòriu in Ogliastra etc. I bambini vestiti da fantasmi ricevevano i dolci tipici: i pabassinas (a base di pabassa, uva passa) ossus de mortu, pani de sapa (uno sciroppo concentrato d’uva) etc. Nelle case era usanza lasciare la tavola apparecchiata e le credenze aperte. Le zucche venivano trasformate in facce spiritate ed utilizzate per fare scherzi. Ognissanti affonda le sue credenze nella misteriosa epoca nuragica. Anche i sacrestani delle chiese di Nuoro, con un campanello e delle bisacce, bussavano alle porte chiedendo il mortu mortu.

Nel Cuneese per la cena del 2 novembre si lascia un posto in più a tavola, riservato ai defunti che tornano per fare visita ai familiari. Una usanza antica è quella delle “cavezette di murte”, le calzette dei morti: una festa per i bambini, che credono che la notte a colmarle di leccornie siano i loro parenti defunti. In provincia di Messina, le mamme suggeriscono ai loro figli di mettere un bicchiere d’acqua sul tavolo perché i morti, arrivando la notte avranno sete. Se il giorno dopo il bicchiere è vuoto, significa che i morti sono venuti, hanno bevuto e hanno lasciato un dono per loro. A Siracusa, la sera del 2 novembre, tocca ai bimbi preparare la tavola per i defunti: se sono stati buoni, il mattino seguente troveranno giochi e dolci, altrimenti solo cenere e carbone. Un paio di scarpe sul balcone viene lasciato ad Alessandria della Rocca (Agrigento); il mattino dopo troveranno doni in cambio. In provincia di Cagliari, dopo la visita al cimitero, la messa e la cena non si sparecchia perché i defunti durante la notte devono trovare cibo e bevande. I bambini vanno in giro per il paese a bussare alle porte, dicendo ad alta voce “morti, morti!” e ricevendo in cambio dolcetti e frutta secca. Anche in alcuni centri intorno a Chieti i ragazzi vanno a bussare di casa in casa domandando offerte per le anime dei morti. In alcuni paesi vicino Cosenza, la mattina del 2 novembre l’intera comunità si avvia in corteo verso il cimitero; dopo le preghiere ogni famiglia prepara il banchetto sulle tombe dei propri congiunti, invitando i compaesani a condividere il cibo. A Bormio la notte del 2 novembre gli abitanti mettono sul davanzale una zucca piena di vino perché i morti possano ristorarsi prima di tornare in cimitero. In Veneto le zucche vengono dipinte e trasformate in lanterne, le cosiddette lumere. Nella notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre, a Pordenone, le zucche sono sistemate lungo le strade, incise in modo da sembrare dei teschi: al loro interno viene posto un cero. La credenza campana è che tutti i morti sono liberati il 2 novembre e vagano sulla terra sino all’Epifania. A Campli  si possono gustare polenta con funghi porcini, salsicce, frittelle, castagne alla brace e vin brulé, oltre alla porchetta camplese, mentre in piazza brucia il grande Falò.  A San Colombano nel giorno di Ognissanti una tradizione millenaria riguarda l’accensione alle 16 del grande fuoco fuori dal cimitero. Castagne bollite e trippa calda vengono lasciati la notte sul tavolo. In Emilia Romagna, il dolce tipico della festa dei defunti è la piada dolce. Altri cibi tradizionali sono la zuppa dei santi in Piemonte, la pizza a sette sfoglie a Cerignola e a Orta Nova, i Cavalli dei morti (Trentino) pani dolci di grandi dimensioni, a forma di ferro di cavallo. Il Pane dei Morti è un piccolo panino dolce, tipico della Lombardia fatto con biscotti tritati, amaretti, uvetta, mandorle, cacao, fichi secchi, noce moscata, cannella e zucchero a velo. I “Pan co’ santi” della Maremma sono dei panini dolci con pepe, uvetta e noci.

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