Ricordando papa Giovanni Paolo I a 42 anni dalla sua improvvisa morte

Nel settembre del 1978, nella notte tra il 28 e il 29, si conclude dopo soli 33 giorni il pontificato di Giovanni Paolo I.

Nel conclave che elesse Albino Luciani al soglio di Pietro, il patriarca di Venezia aveva un potente concorrente, il cardinale Giuseppe Siri. Dal testa a testa del primo scrutinio della mattina del 26 agosto 1978 (Luciani ottiene 23 voti, Siri 25) si passa al vantaggio di Luciani già al secondo esito (Siri scende a 24, Luciani sale a 53). Il vantaggio continua nel successivo scrutinio (Luciani con 70 voti, Siri 12), sino al quarto dove con 101 voti Luciani diventa il 263º vescovo di Roma. Sceglie di chiamarsi Giovanni Paolo, spiega all’Angelus del 27 agosto, perché papa Giovanni lo consacrò vescovo e papa Paolo cardinale.

Albino Luciani eredita un grave deficit di bilancio della Santa Sede, come riferisce nella relazione finanziaria il cardinale Egidio Vagnozzi, presidente della prefettura per gli Affari economici, divulgata in una delle riunioni che precedettero il vero e proprio conclave. Non solo. Nella stessa riunione, il cardinale Pietro Palazzini evidenziò la reticenza mantenuta in Vaticano sugli immorali affari dello IOR, la Banca Vaticana di monsignor Paul Marcinkus, coinvolta in molte oscure vicende (tra cui anche il riciclaggio del denaro di provenienza mafiosa).

In quei trentatré giorni di pontificato Giovanni Paolo I fece gesti di discontinuità col passato: cominciò ad usare l’io al posto del plurale maiestatico; mal sopportava la sedia gestatoria; sostituì la tradizionale triplice tiara con il pallium, una specie di stola di lana; cerco di ridurre il culto della personalità verso il vescovo di Roma. La sua modestia divenne addirittura il motto del suo stemma: humilitas.  Ancor più “moderne” furono le sue opinioni su alcune questioni considerate intoccabili dalla Chiesa: parlò di Dio come padre e madre, si dimostrò disponibile verso una “certa” apertura all’uso della contraccezione a determinate condizioni, amava la collegialità episcopale da lui intesa come vera impronta della cattolicità.

Per il nuovo pontefice era profonda la convinzione che la Chiesa avesse molto da farsi perdonare. Egli stesso pensò di convocare una rappresentanza di vescovi di tutto il mondo per un atto di penitenza, di riparazione. Tale celebrazione penitenziale doveva ripetersi ogni anno, il venerdì della settimana santa, dal papa a Roma e da tutti i vescovi nelle loro chiese locali. Un gesto che poi il suo successore papa Wojtyla, nonostante l’ostilità della Curia romana, avrebbe compiuto il 12 marzo del 2000.

Se quelle arie di spontaneità e le sue “aperture” alla modernità disturbavano non poco i membri più conservatori della Curia romana, la decisione di rivoluzionare gli incarichi presso la Santa Sede allarmò la parte dei porporati “corrotti dal fumo di Satana”. Ad esempio papa Luciani avrebbe voluto sostituire il cardinale Villot (massone di una loggia di Zurigo col nome Jeanni e tessera n. 041/3) da segretario di Stato, mettendo al suo posto monsignor Benelli. Ovviamente avrebbe voluto destituire anche monsignor Paul Marcinkus.

Così, quando il mattino del 29 settembre il mondo apprese della sua improvvisa dipartita, il puzzo di bruciato si iniziò a spargersi urbi et orbi. Sono risaltate subito molte incongruenze, iniziando dalle cause della morte, individuate dal medico pontificio senza autopsia in un infarto acuto al miocardio. Ufficialmente l’infarto è arrivato mentre il papa leggeva nel suo letto “L’imitazione di Cristo”, ma si scoprirà che in tutto il Vaticano non esisteva una sola copia di quel testo, mentre quella personale di Luciani era rimasta a Venezia, nella residenza del patriarca. Il medico personale di Luciani, il dottor Giuseppe Da Ros, ha sempre affermato che il suo illustre paziente non aveva problemi di diabete, colesterolo o che avesse la pressione alta, anzi l’aveva bassa. Insomma nessun problema di cuore. Il segretario di Stato Jean Villot convocò subito gli imbalsamatori, i fratelli Signoracci, dando disposizioni di effettuare l’imbalsamazione del corpo del papa entro la sera del 29 settembre, senza far passare le canoniche ventiquattro ore dal decesso.

A distanza di vent’anni, il cardinale Aloisio Lorscheider rilanciò i suoi dubbi sulla morte di Giovanni Paolo I. In un’intervista al mensile “30 Giorni”, pubblicata nel numero 7 del 1998, il cardinale affermò: «lo dico con dolore, il sospetto rimane nel nostro cuore; è come un’ombra amara, un interrogativo a cui non si è data piena risposta».

La morte di Giovanni Paolo I è accaduta nel momento opportuno, prima di pericolosi e radicali cambiamenti. Per la Chiesa, quella dei furfanti e dei corrotti, e non quella vera dei missionari, dei santi uomini e delle sante donne, non è stato un problema, perché … morto un papa se ne fa un altro!

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