Marzo 2011-Marzo 2020: nove anni di orrore e morte in Siria

A marzo del 2011 inizia il sanguinoso conflitto in Siria, che può essere considerato una “mini guerra mondiale”, per gli attori coinvolti e per le grandi atrocità sui civili. Quella che era iniziata come una protesta contro il governo dispotico di Bashar al-Assad, diventa dapprima una guerra civile tra il regime e l’opposizione, poi si trasforma in una guerra per procura da parte di USA, Russia, Iran (e gli Stati loro amici) e poi della Turchia, con l’aggiunta delle pretese farneticanti degli jihādisti dello Stato Islamico.

Ufficialmente tutto inizia il 6 marzo del 2011 a Dar’a, nel sud della Siria: un gruppo di ragazzini disegna alcune scritte contro il governo di Assad sul muro di una scuola. Il giorno dopo sono tutti arrestati dai servizi segreti. Il 15 marzo del 2011 migliaia di persone scendono per le strade di Damasco e Aleppo protestando contro l’arresto dei ragazzi.

Le proteste, che comunque rientrano nel contesto più ampio della “Primavera araba”, si trasformano in una serie di scontri violenti con la polizia, causando morti da entrambi le parti. Inizia la guerra civile.

Il conflitto in Siria è stato così “disegnato” esclusivamente come un’insurrezione popolare, ma questo è vero solo in minima parte, perché sono entrati in gioco interessi geopolitici esterni. Non si può descrivere un conflitto così complesso in poche righe, ma per capire che non si tratta di una semplice guerra civile, è sufficiente conoscere gli interessi degli attori coinvolti.

Il Qatar condivide con l’Iran il giacimento di gas naturale più ricco del mondo (il South Pars iraniano e il North Dome qatariota). Entrambi possono “succhiare” il prezioso oro naturale. Nel 2000 il Qatar propone di costruire un gasdotto attraverso Arabia Saudita, Giordania, Siria e Turchia. Quest’opera avrebbe rafforzato economicamente e politicamente il Qatar (il più stretto alleato USA nel mondo arabo), arricchito la Turchia (grazie alle tasse di passaggio), politicamente avvantaggiato l’Arabia Saudita; ma avrebbe penalizzato l’Iran, danneggiato la Russia che è il maggior competitore nelle forniture di gas all’Europa. Assad non solo rifiuta di firmare l’accordo, ma si dimostra interessato a un “gasdotto islamico” approvato dai russi, che va dalla zona iraniana del giacimento di gas fino ai porti del Libano, attraversando dunque la Siria.

Non sappiamo se la rivoluzione siriana sia stata finanziata dagli Usa o da altre potenze occidentali. Sta di fatto che un gruppo di rivoltosi si trova ben presto munito di molte armi, tanto da affrontare il ben equipaggiato esercito di Assad.

Per gli USA il controllo del Medioriente è strategico, non solo per il Mediterraneo ma anche per il Pacifico. La Francia vorrebbe rispolverare il suo ruolo in quest’area, così come la Gran Bretagna non vorrebbe perdere i suoi interessi nella regione. Arabia Saudita e Qatar non possono permettere al-Assad di restare al potere, lo stesso vale per la Turchia, che vorrebbe anche impedire la nascita di un’entità autonoma curda. Per questo finanziano gli insorti. Lo stesso vale per il cosiddetto Stato Islamico, che vorrebbe conquistare le aree per il suo pseudo Califfato e per questo combattono regime, ribelli e curdi. Con il suo intervento in Siria, la Russia si assicura il Mediterraneo Orientale, ottenendo la base del Tartus (e sovranità su essa) per ben 49 anni dal 2017. L’Iran sciita non gradirebbe i sunniti al potere, ma anche un governo filostatunitense come vicino di casa. Entrambi appoggiano al-Assad.

Nel frattempo si contano milioni di sfollati e oltre cinquecentomila morti, maggiormente bambini, determinando una frattura generazionale un Paese ormai divenuto l’inferno sulla terra.

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