Il razzismo: un “disturbo culturale” che crea odio

È cronaca degli ultimi giorni il grande movimento antirazzista scoppiato negli USA, a seguito dell’uccisione a Minneapolis di George Perry Floyd, durante il suo arresto.

Floyd non è il primo afroamericano “maltrattato” dalla polizia statunitense, per questo la “comunità nera” ha sollevato le sue proteste contro un razzismo non troppo occulto presente negli USA.

Non mi occuperò della vicenda in sé, ma del fenomeno che ha scatenato le proteste: il razzismo, appunto.

Ho qualificato il razzismo nel titolo come un “disturbo culturale”, che definisco come una disfunzione del sapere, dovuta a una cattiva conoscenza delle “cose”, che porta a una significativa indisposizione nell’ambito della sfera relazionale e affettiva di una persona o di un gruppo, conducendo a una pericolosa asocialità e inumanità. Queste indisposizioni verso una fetta di Umanità sono il retaggio di una concezione che affonda le sue radici nell’idea nella divisione degli esseri umani in razze.

… ma le razze umane esistono? Rispondo di no, non esistono, e l’idea di una distinzione razziale è destituita di qualsiasi validità scientifica. Tuttavia il razzismo continua a imperversare in tutte le sue varianti, legittimando discriminazioni e oppressioni.

Il razzismo è un fenomeno relativamente recente, che nasce nel XVI secolo con la scoperta e la conquista di “nuovi mondi”; mentre antica è la tendenza a discriminare l’“Altro”, lo straniero, in funzione politica, sociale e religiosa (xenofobia).

Per lungo tempo il concetto di “razza” si è fondato sulla base delle diversità del fenotipo, le caratteristiche somatiche esterne, tra cui maggiormente il colore della pelle. Con lo sviluppo della genetica si è iniziato a guardare al genotipo (il patrimonio genetico ereditario) come elemento distintivo dei gruppi umani.

Allora è possibile scientificamente definire il concetto di “razza”? Rispondo ancora no. Dal punto di vista scientifico è scorretto dividere gli esseri umani in “gruppi” caratterizzati da differenze di pelle o da altre peculiarità. Tutti i gruppi umani hanno lo stesso numero di cromosomi e le differenze geniche tra le varie “razze” sono insignificanti, mentre c’è una grande variabilità genica individuale all’interno di ogni singola “razza”. In definitiva nella differenza, siamo tutti parenti. Questo è avvenuto grazie alla mescolanza genetica, conseguenza dei continui scambi migratori che si sono verificati nella storia dell’umanità. Se i gruppi razziali non possono essere biologicamente definiti, le categorie razziali sono allora costrutti sociali.

Pur in mancanza di razze, i razzismi continuano a esserci, aggrappandosi ora a idee astratte come l’identità. Non potendosi ammantare di scientificità, i razzismi diventano un fenomeno culturale e politico, che trasforma un determinato gruppo in “razza”, attraverso la naturalizzazione delle sue peculiarità (razzizzazione). Dunque, una costruzione funzionale alla discriminazione in funzione politica e sociale, che a sua volta motiva forme di dominio dell’uomo sull’uomo, dall’oppressione alla segregazione, arrivando finanche allo sterminio.

Se le prime teorie razziste giustificarono il sistema schiavistico nel continente americano e africano, la politica di sfruttamento nel periodo coloniale e la discriminazione razziale, la strumentalizzazione politica di queste nuove teorie razziste giustificherà i tragici eventi realizzati da governi razzisti nel Novecento (Metz Yeghérn, Porrajmos, Shoah, Apartheid). Anche la vergognosa discriminazione territoriale da parte non solo di persone comuni, ma anche da parte di politici e giornalisti del Nord Italia verso i cittadini italiani del Sud è razzismo che non fa bene al vivere comune degli italiani.

Diceva nel 1942 l’antropologo Ashley Montagu: «I problemi della razza sono essenzialmente problemi di relazioni umane, e i problemi della razza non sono che una delle tante prove del nostro fallimento nelle relazioni umane». Come non dargli ragione!

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