Viaggio nel mondo dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP

L’aceto, bianco o rosso è considerato per lo più un condimento, che a volte serve anche per la pulizia delle stoviglie. Esso, in sintesi, è il risultato della fermentazione acetica del vino che si trasforma attraverso i batteri.

Non di solo vino è l’aceto. Ve ne sono, infatti, di vari tipi: di sidro mele, di malto, di sherry, di riso…  L’aceto di vino di qualità deve essere prodotto non solo da vino buono ma da uve sane e non trattate con agenti chimici.  In Italia, oltre a produzioni industriali, vi sono piccole aziende che si sono unite per far conoscere la storia e la versatilità dell’aceto. In quest’appuntamento racconteremo la storia di uno dei fiori all’occhiello della gastronomia italiana: l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (denominazione d’Origine Protetta), raccontata da un assaggiatore della Consorteria Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, incontrato durante la visita al Museo del Balsamico Tradizionale di Spilamberto.

L’origine del balsamico risale a molti secoli fa ma solo nell’800 il pregiato Aceto venne valorizzato dal punto di vista storico e scientifico. Sono stati il Conte Giorgio Gallesio e l’Avv. Francesco Aggazzotti a determinare le differenze tra il tradizionale e altro aceto, portando a conclusione la fase che dal mosto cotto porta al balsamico. In tutte le famiglie era consuetudine cuocere il mosto che serviva in casa come dolcificante. Gli Estensi hanno il grande merito di aver fatto conoscere il mosto cotto nel resto d’Europa dopo la permanenza a Modena. Il disciplinare dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena prevede l’utilizzo di uve coltivate in zona: Trebbiano di Spagna perché è un vitigno con molti profumi, l’Ancellotta, uva molto dolce, dà la sensazione di vellutato, i Lambruschi danno l’acidità. Dopo la vendemmia si pigia l’uva nel giro di poche ore, si spilla al mattino e si rimette nei paioli per la cottura del mosto. Questo viene cotto a fuoco diretto e a cielo aperto per favorire l’evaporazione e quindi la concentrazione. La prima fase è importantissima perché la temperatura alta (90°-95°), favorisce la salita in superficie di tutte le sostanze che non fanno parte del prodotto finale. La botticella in cui si pone il mosto ha una duplice funzione: quella di contenitore e quella di “laboratorio”. Infatti, essa favorisce lo scambio di ossigeno con l’esterno (naturalmente ogni botte ha una sua vita) e quindi la trasformazione, fermentazione, maturazione e invecchiamento dell’aceto. È importante scegliere accuratamente il legno della botticella, legno che deve essere stato sottoposto a stagionatura naturale per almeno quattro-cinque anni. Trascorso questo tempo si comincia a lavorare formando le doghe, perfettamente rifilate, poi l’incastro che deve essere profondo e preciso. Alla fine si assembla la botte, prima con cerchi provvisori, poi con cerchi di acciaio inossidabile. A lavoro terminato c’è il collaudo poi la consegna. La qualità del legno è fondamentale; la botte, infatti, dovrà resistere per almeno cinque generazioni. “L’acetaia non è proprietà di alcuno… Gli uomini appartengono alle acetaie, contribuiscono alla loro evoluzione e devono creare le condizioni perché resistano nel tempo…”

Il luogo più adatto per ospitare l’Aceto Balsamico durante la sua evoluzione è il sottotetto-solaio. Qui, infatti, si ritrovano le escursioni termiche caldo-freddo che servono all’ABTM. Le alte temperature estive cominciano a lavorare, gli zuccheri si trasformano in alcol e l’alcol in acido acetico. In inverno l’aceto decanta, raggiungendo quella limpidezza che è una peculiarità dell’aceto balsamico. Una batteria ideale dovrebbe avere minimo cinque barili. In quelli più grandi avviene la fermentazione cui segue l’ossidazione acetica; nella parte centrale il prodotto rimane almeno quattordici anni per raggiungere l’affinamento. Nella botticella più piccola l’aceto si affina, lì avviene il “miracolo” della trasformazione del mosto in Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, le cui componenti acquisiscono un eccezionale equilibrio. Profumi, colori e sapori si concentreranno nella botte più piccola. Da un quintale di uva, dopo venticinque anni si ottengono due litri di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. La comprensione dell’ABTM dal punto di vista organolettico, avviene in prima battuta attraverso l’esame visivo; il colore deve essere bruno scuro, carico e lucente (ciò dipende dall’evoluzione che avviene nella botticella). Per l’esame olfattivo si valuta la franchezza, cioè l’assoluta assenza di difetti. Per la parte gustativa sono determinanti il carattere del corpo e la sua pienezza. Rilevante è l’armonia che insieme ai profumi costituisce la proprietà nobile dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. L’ABTM rappresenta l’identità delle famiglie, segue la loro storia e s’identifica con le sue generazioni, per questo è la più bella eredità da lasciare. L’ABTM è un prodotto con un disciplinare rigidissimo. Una selezionata commissione d’assaggio è preposta alla valutazione sia di quello affinato con dodici anni di invecchiamento, sia quello di extravecchio con un minimo di venticinque anni. Se L’aceto non supera il primo esame, torna nelle botti per ripresentarsi davanti alla commissione qualche mese dopo, o addirittura l’anno successivo. Se è idoneo, il Consorzio provvederà all’imbottigliamento, capsula rossa per l’affinato, capsula oro per lo stravecchio. Come accade per tutti i migliori prodotti italiani, anche l’ABTM è soggetto a imitazioni, in tutto il mondo ma è difficile sbagliare, il vero e originale Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è solo quello del Consorzio di Spilamberto. Come si usa in cucina il pregiato Aceto Balsamico Tradizionale di Modena? Quasi sprecato sull’insalata fresca (parere personale) valorizza molte pietanze, formaggi, carne, pesce frutta e anche gelati. La temperatura del cibo esalta in maniera differente le proprietà organolettiche dell’ABTM consentendo a professionisti e appassionati di giocare sulle molteplici combinazioni gastronomiche.

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