Civiltà rupestri: meravigliose opere di ingegneria urbanistica

Dopo aver affrontato il discorso della grotta nell’immaginario collettivo, della grotta come luogo sacro e della grotta come casa, concludiamo questo viaggio analizzando brevemente la cultura del vivere in grotta: la cosiddetta civiltà rupestre.

            Nel corso della sua storia l’essere umano ha usato e modellato ogni serie di grotte riempendole anche di contenuti economici, civili, culturali, oltre che religiosi, creando una fantastica civiltà, quella rupestre.

            Nell’Anabasi, Senofonte (V-IV secolo a.C.) afferma l’esistenza di civiltà rupestri in Turchia orientale, Armenia e Anatolia; mentre Annone (VI secolo a.C.), Strabone (I secolo a.C.) e Plinio (I secolo d.C.) documentano l’esistenza di insediamenti trogloditi presso i popoli berberi del Nord Africa. Seneca (I secolo a.C. – I secolo d.C.), descrive di popoli che vivevano “nella terra” sul golfo della Sirte. La “Berenice trogloditica”, antica città della costa del Mar Rosso, era conosciuta da Tolomeo, Diodoro Siculo, Strabone, Plinio, Mela, Arriano, Stefano di Bisanzio; mentre Virgilio (I secolo a.C.) descrive le dimore degli sciti della Russia meridionale come antri ipogei scavati nel terreno, abitazioni simili a quelle descritte da Vitruvio (I secolo a.C.) per i frigi dell’Asia Minore. Nel Geografia, Strabone descrive una città in Giordania caratterizzata da uno stile architettonico unico nel suo genere: Petra.

            Nel Medioevo si affermarono ulteriori insediamenti più durevoli dei precedenti in Cina, in Cappadocia, in America settentrionale e in Messico. Si registrò anche uno sconfinamento del vivere stabilmente in grotta, con una relativa maggiore diffusione, verso nord fino al 50° parallelo e quindi anche nell’Italia meridionale, in Spagna, Francia, Balcani, Georgia e Ucraina, fino all’area mitteleuropea. Questo diede vita alla vasta e originale geografia della civiltà rupestre, insediamenti umani con strutture apparentemente semplici, ma che rivelano geniali modelli di efficienza.

Nel Medioevo l’uomo non si accontentò di occupare e adattarsi agli ambienti offerti dalla natura, ma provvide ad apportare importanti modifiche, adattandoli alle proprie esigenze. A livello abitativo, quindi, non si registrano significative differenze rispetto alle dimore costruite sub divo.

            Con il tempo i villaggi rupestri si organizzarono, definendo strutture urbanistiche più o meno complesse, con case-grotte articolate e multifunzionali, ambienti per gli animali, strutture produttive e luoghi di culto: nacque la “città trogloditica”.

            Nel nuovo insediamento urbano, interposte alle strutture abitative vere e proprie, il “nuovo” troglodita creò sistemi di regimentazione delle acque fluenti, strutture pubbliche di stoccaggio di derrate alimentari e di acqua, orti, giardini, strade, viottoli, terrazzamenti: in questo modo fu operata una radicale umanizzazione del paesaggio, un’ingegneria urbanistica all’apparenza elementare, ma di grande efficienza e funzionalità. Tutto ciò impone la considerazione positiva di un habitat rupestre fatto di cultura e civiltà propria, con vicende architettoniche e iconografiche delle grotte-abitazioni e, soprattutto, delle grotte-chiese e di ambienti ad esse connesse. Per questo, il “vivere in grotta” non può essere considerato segno di marginalità rispetto alle “normali” forme di urbanizzazione all’aria aperta.

Tutte le comunità dei villaggi rupestri avevano una struttura sociale molecolare basata sul microcosmo della famiglia (lo spazio privato) e il macrocosmo del vicinato e della Chiesa (lo spazio comune).

            Originali civiltà delle grotte sono state quella di Matera e di Gravina in Puglia, entrambe splendidi esempi di città in verticale, patrimonio dell’uomo.

            A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso i trogloditi civili sono “usciti” dalle grotte, andando a colonizzare le periferie delle città. Questa oggi si estende sempre in verticale, ma all’insù, e il sottosuolo rappresenta unicamente il luogo relegato alle funzioni secondarie a servizio della vita di superficie. La modernità ha sgretolato per sempre quel grande campo di energia umana che ha contraddistinto tutte le comunità rupestri. La complessità e l’intrigo delle strutture che componevano l’impianto urbanistico, la rete dei rapporti sociali che legavano una casa all’altra nella “città troglodita”, sono stati superati dal moderno modello di un vicinato chiuso in se stesso.

Renzo Paternoster

Scatto di Carlo Centonze

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