La tavola dei morti

VIVA L’iTALIA

Secondo antiche credenze pugliesi, tramandate sino a qualche lustro fa, i defunti vengono a far visita nella casa che hanno occupato in vita, si soffermano e vagano dalla notte del giorno di Ognissanti sino a Natale, o all’Epifania. Per questo, la sera prima del 2 novembre, si usava imbandire la tavola perché i morti sarebbero tornati alla mensa domestica per una cena a base di piatti della tradizione, di valenza simbolica. Le anime dei morti non si accontentavano della sola pasta fatta in casa e preferivano quella comprata, quasi che all’epoca la pasta secca fosse un privilegio. Non dovevano mancare il pane, il vino primitivo, l’acqua. Oltre alla carne, venivano preparati il baccalà infarinato e fritto, il formaggio di pecora, le conserve, le frittelle. Poi, un cesto propiziatorio di frutta tipica autunnale, tra cui melagrane, noci, mandorle, carrube, castagne e fichi secchi.Infine, quale dessert, il grano cotto, con noci, melagrana e vincotto. Sulla tavola due candele accese per tutta la notte.

Il giorno dopo, ossia, il giorno della commemorazione dei defunti, bisognava prestare attenzione per non inciampare nell’anima invisibile di qualche trapassato attardatosi nel corso del banchetto. Ricordo che sino a circa dieci anni fa, una anziana signora, all’interno della sua abitazione in claustro Labriola ad Altamura (in prossimità di Piazza San Giovanni), celebrava il rito della Tavola dei Morti in maniera religiosa. Ella invitava i passanti ad entrare nella sua abitazione ove imbandiva una tavola lunga e rettangolare per 12. Ella preparava per le Anime del Purgatorio tutte le specialità della cucina murgiana, dalle fave e cicorie all’agnello e faceva notare, all’indomani, che i suoi ospiti avevano gradito e consumato le sue specialità. Tutto veniva ripetuto puntualmente alla scadenza del giorno di Ognissanti, in una epoca ove la magia e lo spirito religioso diventavano rito, cerimoniale. Sino a consolidarsi in Tradizione. In realtà si voleva mantenerne viva la memoria e il rispetto dei genitori e dei congiunti deceduti, perché il prestigio e l’affetto terreno del defunto si perpetuassero nell’aldilà.

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