Renzo Paternoster: La vecchietta sulla scopa

La Befana sopravvive con contorni ben delineati nella fantasia popolare che la arricchisce fino a materializzarla in una vecchina vestita di cenci (l’abito rattoppato, una vecchia sottana, l’immancabile scialle e le scarpe rotte), che vola su una scopa distribuendo dolciumi. La Befana racchiude in sé una grande varietà di tradizioni arcaiche e pagane che si intrecciano e si sovrappongono tra loro.

 Sin dal Neolitico vi era un culto legato a una divinità che incarnava lo spirito degli antenati, una figura benaugurante per il raccolto dell’anno seguente. Questa, in inverno, si materializzava alle famiglie riunite intorno al fuoco con sembianze femminili.

  San Epifanio di Salamina (315 circa-403), nel Panarion adversus omnes haereses, racconta che già nel IV secolo, ad Alessandria d’Egitto, nella notte del 6 gennaio si celebrava un rituale che comportava la nascita di Aion, divinità legata ai miti della natura e alla fertilità, dalla vergine Kore.

Sempre nell’antichità precristiana, in tutta l’area del Mediterraneo, la notte tra il 5 e il 6 gennaio nelle tradizioni agrarie pagane si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso il sacrificio di Madre Natura, rappresentata in modo decrepito e senile: Madre Natura, stanca per aver elargito tutte le sue energie, perso il giovanile vigore, diventa una vecchia pronta a sacrificarsi per lasciare il posto a una giovane e feconda erede, dispensatrice di buoni raccolti. Nell’antico Lazio questa grande Dea Madre era chiamata Bubona, termine legato ai bovini. Col passare del tempo Bubona diventa Bifona. In Basilicata la Befana è chiamata in dialetto Bufania, in Calabria Bifania, in Campania Bofania, in Abruzzo Bbufanije.

 Gli antichi Romani credevano, inoltre, che nelle dodici notti dal 25 dicembre al 6 gennaio, alcune figure femminili, guidate da divinità come Diana, Satia o Abundantia, volassero sui campi che erano stati seminati per propiziare i raccolti futuri. Nella tradizione celtica e in quella delle lande nordiche ritroviamo Holla (Signora dell’Inverno, custode del focolare, protettrice della casa, degli animali domestici e dell’arte della filatura), Berchta (la benefica protettrice dell’agricoltura, delle semine e dei raccolti) e Frigg (la Grande Madre divina che aveva generato tutte le divinità e tutti gli spiriti e le creature naturali). Queste divinità, nelle dodici notti del Solstizio d’inverno, si recavano a visitare ogni casa, entrando dalla cappa del camino, spargendo e dispensando fortuna e prosperità. Figure affini sono presenti in Svizzera con la Vecchia Posterli e in Tirolo con la strega Zuscheweil.

Una possibile origine “agricola” della Befana è sorretta anche dai suoi doni più caratteristici che sono frutta secca e arance (oggi sostituiti da dolciumi e leccornie) e carbone. La frutta secca, presso molti popoli, era considerata un dono di buon auspicio. Lo stesso carbone, oggi portato come dono “negativo”, potrebbe essere collegato alla tradizione dell’antica Roma di bruciare un tronco di quercia nei dodici giorni successivi alla “festa del sole” (25 dicembre) e dal carbone prodotto si sarebbero potuti trarre auspici sulla fortuna dell’anno successivo. Il carbone, oltre ad essere il simbolo di un’energia latente, era considerato anche un portafortuna che aiutava a scacciare malattie e sventure.

Anche la scelta della calza dove deporre i dolciumi, inizialmente di lana e poi di altri materiali, ha origini agricole. Infatti la calza di lana essendo indumento utilizzato dai contadini per affrontare i lavori e i viaggi durante l’inverno, simboleggia l’inizio del cammino verso il nuovo anno. I doni e la calza, dunque, assumono un valore propiziatorio per il nuovo anno.

 Il cristianesimo non potendo fare nulla per evitare la tradizione popolare pagana della Befana, collegò la vecchietta all’Epifania dei Re Magi, rendendola così “tollerabile” per il proprio credo. Nacque così una leggenda che mise in relazione la vecchia donnina con i Magi: mentre Melchiorre, Baldassarre e Gaspare si stavano recando a portare i loro regali a Gesù bambino, persero la strada e chiesero informazioni a una vecchia. Ella rispose alle loro domande ma, nonostante le loro insistenze, non accettò di accompagnarli a far visita al neonato. In seguito si pentì di non essere andata con loro e, dopo aver preparato un gran cesto pieno di dolci, uscì per cercarli, fermandosi a ogni casa che incontrava lungo il suo cammino per lasciare i suoi doni ai bambini, nella speranza che uno di questi fosse il Gesù. La vecchia però non riuscì mai a ritrovare i tre Magi e nemmeno il Bambinello, e da allora vaga per il mondo, distribuendo dolci ai fanciulli nella speranza di essere perdonata.

Nel tardo 1500 si comincia a parlare di Befane come figure femminili, malvestite e di brutto aspetto, che vanno in giro di notte, spesso collegandole alle streghe medievali. In Italia il Fascismo vide nelle “origini romane” della vecchina con la scopa un valido ausilio alla “romanizzazione” del Paese, e per questo fu fortemente propagandata la ricorrenza. Nel 1928 fu istituita la “Befana fascista”, istituzionalizzando una consuetudine che già esisteva in Italia dagli inizi del Novecento, che consisteva nel distribuire i “pacchi della Befana” alle famiglie indigenti da parte di molte categorie commerciali e professionali (pane, generi alimentari di prima necessità, zucchero, caffè, giocattoli). 

Dal 1934 la “Befana fascista” diventò “Befana del Duce”. Tale cambiamento fu voluto dal nuovo segretario del Partito fascista Achille Starace per avallare il culto della personalità di Benito Mussolini. Questa consuetudine continuò anche nell’immediato dopoguerra, in un’Italia in cui moltissime erano le famiglie che vivevano nella povertà. 

La Befana, in conclusione, è passata da figura per esorcizzare il male e propiziare l’abbondanza e la fertilità dei campi e degli animali, alla funzione di “giudice” sui comportamenti tenuti durante l’anno appena passato: se si è stati bravi la vecchietta porta dolciumi, se si è stati cattivi il carbone. Voi meritate dolcetti o carbone?

Renzo Paternoster

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