“La via micaelica murgiana” in pausa per la pandemia, Gravina sarà tappa d’obbligo

Il progetto della Via Micaelica della Murgia, purtroppo ancora bloccato a causa della pandemia, presenta tutti i requisiti per creare movimento e ricchezza nelle località interessate.        Riprendiamo l’itinerario con la tappa di Gravina in Puglia, comune di circa 44 mila abitanti che non ha registrato cali demografici (erano poco più di 28 mila al censimento del 1951). Il comune fa parte della Città Metropolitana di Bari ed è sede del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Il suo reddito deriva soprattutto dall’agricoltura e dall’edilizia nonché dalle attività artigianali e industriali concentrate nella vasta area a queste riservata. Le statistiche indicano che il valore aggiunto annuo locale è fornito per oltre un terzo dall’industria bancaria che vanta la presenza di una società cooperativa del luogo in esercizio dal 1883, la “Banca nost“ ossia la Banca Popolare di Puglia e Basilicata.

          L’espressione “Città Metropolitana di Bari” è meramente indicativa, ovvero priva di sostanziali contenuti, essendo le cittadine dell’altopiano praticamente escluse, che mi risulti, dalle destinazioni della finanza pubblica barese nonché dalle iniziative culturali. Come dimostra la candidatura di Bari a capitale italiana della cultura, incentrata sul solo “percorso nicolaiano“.

          A girare il coltello nella piaga contribuisce la recente pubblicazione della mappa dei siti idonei ad ospitare il deposito delle scorie nucleari italiane, tra i quali sono individuati territori prossimi al nostro Parco Nazionale e al Bosco Difesa Grande di Gravina, con buona pace per la salute dei cittadini e la protezione delle aree naturalistiche.

         La caratteristica del territorio di Gravina è quella di estendersi “sulle sponde di un crepaccio profondo” scavato dalle acque dell’omonimo torrente. Il crepaccio rende il panorama somigliante a quello dei canyon del Nord America.

          Non solo per la sua caratteristica geomorfologica, Gravina è una città in movimento, dall’apice del colle di Botromagno allo sprofondo del burrone, da questo alla risalita nella Civita Medievale. Dalla preistoria alla storia moderna. Dalle disuguaglianze sociali alla società dei diritti dei lavoratori, dalle intemperanze della lotta di classe ad un assetto politico-amministrativo costruito con difficoltà in punto di mediazione tra le parti in causa. Non è stata estranea al suo sviluppo la presenza nella società gravinese di classi nobiliari (a cominciare dagli Orsini presenti dal XIV al XIX sec.) e di un potere ecclesiastico di notevole spessore, contiguo alla nobiltà, che ha espresso il Pontefice Benedetto XIII e ha arricchito la cittadina di numerose architetture religiose. Ancora adesso le chiese sono più numerose delle banche. Spiace solo dover riferire che la Chiesa del Purgatorio posta all’inizio della piazza della Cattedrale, la chiesa degli Orsini con opere d’arte di pregevole fattura, frequentatissima un tempo dalle persone di fede, risulti da tempo sconsacrata. Misteriosa e incomprensibile valutazione della burocrazia curiale.

         Il simbolo del collegamento tra la civiltà arcaica della città greca di Sidion e di quella romana di Silvium con l’arretramento trogloditico nelle grotte carsiche del crepaccio e, di seguito, con l’insediamento medievale è rappresentato dal ponte-acquedotto in pietra, risalente ai secoli XVI e XVII. Il Ponte, candidato ai Luoghi del Cuore del FAI, assicura così, visibilmente, la continuità storica del centro murgiano.  Gravina è stata parte attiva della civiltà greco-romana, inserita nel percorso della Via Appia e quindi ben collegata a Roma e all’Oriente. La sua denominazione deriva, secondo lo storico Domenico Nardone, proprio dalle tipiche spaccature della crosta terrestre, ossia dalle “gravine”. Il nome richiama anche il motto presente sul suo gonfalone “grana dat et vina” attribuito da Federico II, che la definì “giardino delle delizie” riferendosi ai prodotti principali della sua terra.

L’habitat rupestre. L’antica città di Silvium – situata sulla collina di Botromagno – fu distrutta durante la terza invasione dei Saraceni nel 999 e gli abitanti sfuggiti all’eccidio si rifugiarono nelle grotte del burrone, immediatamente a valle dell’insediamento greco-romano. Mentre l’Impero Romano d’Occidente crollava. Le grotte furono successivamente adattate e divennero abitazioni funzionali. In ogni caso si può dire che la ricca civiltà greco-romana subì una fase di regressione verso una forma di vita primitiva, nella quale trovò “conforto nella sola religione di Cristo”.

La Grotta di San Michele. Il prof. Fedele Raguso, docente universitario e storico, in un suo lavoro del 2016, sostiene che il Santuario di San Michele ospitò culti pagani e poi cristiani, divenendo sede del culto micaelico sotto la dominazione longobarda.

          La vecchia grotta naturale carsica, sita nel Rione Fondovito, diventò una basilica a cinque navate grazie ai lavori di scavo e adattamento che si protrassero tra l’VIII e il IX secolo. “La volta è piana e monolitica, il piano di calpestio è di roccia compatta e 14 pilastri a pianta quadrata dividono il grande ambiente in cinque navate. Il presbiterio è sopraelevato di un gradino e comprende cinque absidi con tre altari latini dedicati ai tre Arcangeli, al centro l’altare di San Michele”.

          Non si può intendere bene perché il culto di S. Michele si sia così radicato nella tradizione del paese, se non si parla del quartiere storico che nei secoli l’ha custodito, coltivato e rinnovato: il Rione Fondovito che, unitamente al Rione Piaggio, rappresenta il cuore della storia gravinese.        Un quartiere esposto al sole e ricco di vegetazione che, nel V e VI secolo, conobbe un notevole sviluppo, in quanto la popolazione in fuga dal colle Botromagno razziato dai Vandali occupò tutte le cavità naturali dello strapiombo. Furono istituite le chiese rupestri di S. Stefano, S. Nicola, S. Vito, S. Michele, S. Marco e S. Giovanni Battista. La cripta di San Michele divenne la basilica di riferimento di quell’insediamento di fede cristiana. Il rione era abitato da artigiani (figuli  e pellai)  e richiamava frotte di cittadini e pellegrini che l’8 maggio e il 29 settembre si recavano nel santuario per fare penitenza e per implorare protezione e grazie.

          Il Santuario di S. Michele delle Grotte e i Santuari Mariani ( come la Chiesa della Madonna delle Grazie) contribuirono a fare di Gravina una meta sulla Via Francigena per i pellegrini provenienti da Monte S. Angelo e diretti al porto di Scanzano, dove si imbarcavano per raggiungere Gerusalemme. Il prof. Raguso avverte che quell’antica tappa è stata inserita nella nuova mappa della Via Francigena approvata nel 2015 dall’Assemblea Generale dell’Associazione Europea delle Vie Francigene.

          A Gravina i pellegrini ammalati o debilitati trovavano assistenza presso una pluralità di piccoli ospedali gestiti da confraternite, ecclesiastici e monaci.

          La Confraternita di S. Michele, istituita nel 1925 sotto il vescovado di Giovanni Maria Sanna, ha raccolto l’eredità dei fondovitesi, ormai accasati nei quartieri moderni della città, curando la protezione e il patrocinio della festa dell’8 maggio con celebrazione di messe, processione e festeggiamenti civili: bande, fuochi d’artificio, mercatini e l’addobbo del quartiere con i caratteristici “balloun” appesi ai balconi delle abitazioni.

          San Michele fu eletto patrono principale di Gravina, con il consenso dei vescovi e del Papa Clemente X, nel 1674.

Giuseppe Marrulli

Foto Carlo Centonze

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