Località Murgia Catena: santuario micaelico

Aurore dorate venivano e vengono condivise da cieli di luce su Murgia Catena santuario michaelico attra versato da popoli alla ricerca delle curiosità che un viaggio porta con se per svelare, rivelare e rilevare il mistero delle nascite. Arrivarono da oriente e camminavano per recarsi a Botromagno sulla Collina molti di loro decisero di fermarsi con i pastori nelle grotte dei villaggi neolitici dove trovarono una qualità di silenzi oceanici che gli avrebbero permesso di conoscere il possibile. Conoscevano la placidità del mare Mediterraneo, la morbidezza della sabbia dei deserti attraversati e le qualità del viaggio che sa imparare e ricordare che la vita è solo un dare prendere apprendere comprendere sorprendere et riprendere. Sapevano distinguere setacciare scavare costruire rattoppare circostanze dare un senso ai bisogni valutare le necessità del gregge e dei campi. Il villaggio neolitico di Jesce era abitato da bellissime donne che da sempre tessevano gli umori dei giorni accompagnando sul telaio della vita il rumore di fondo delle stagioni. Quando si arrivava si restava catturati dalla musica delle attese dove pastori anacoreti guardavano il senso dei tuoi passi per carpirne i significati e anticipare i convenevoli. Daddò vinne et Accì appartinne (da dove vieni et a chi appartieni) era la prima domanda che ti veniva fatta per metterti a tuo agio per iniziare una conversazione che in realtà sarebbe risultata l’epilogo di una conversione: l’inizio del viaggio risiede nell’arrivo anzi nella partenza. Col tempo scopriremo che la vita è un continuo viaggio di ritorno. Arrivavano da ogni dove con lo stesso mistero svelato e rivelato dei tramonti mozzafiato su Murgia Catena dove il mazzaro dava e dà a tutti la possibilità di iniziare una costruzione metafisica delle proprie costruzioni o destrutturazioni o se vogliamo di una descolarizzazione che riporti le scuole ad adottare un villaggio neolitico. I villaggi neolitici erano e restano il canto aristotelico delle scuole di orientamento dove le comunità crescevano vivendo di pastorizia e di agricoltura su quella che è terra promessa avuta in dono per conoscere e farsi conoscere dai linguaggi della mutazione il verbo. Raccogliere il frutto dall’albero della vita è conoscenza. Saper aspettare il tempo della sarchiatura della semina della mietitura. Questo sarà possibile ascoltando il Cielo et le sue stagioni. Vivevano nelle grotte pastori anacoreti oltre alle famiglie del grande villaggio neolitico di Jesce che stipata e stimata la lana delle pecore trascorrevano il tempo a tessere sul telaio dei giorni il mistero della vita. C’erano e ci sono ancora le grotte su tutta la Murgia dove comunità di anacoreti si incontravano per onorare l’aurora con le loro preghiere fatte di corollari di silenzi e tra queste grotte qualcuno iniziò a dipingere affreschi per dare colore e testimonianza ai racconti dei viandanti alle temperanze dei colori ai bisogni dei ricordi. Iniziarono modellando un cassonato ligneo sotto la volta della grotta con fior di loto a ricordo dei loro paesi et della goccia di purissima acqua e man mano che sopraggiungevano ospiti il racconto veniva affrescato. Iniziò la grande narrazione nella grotta che a malapena si poteva entrare ma che i pastori avevano man mano lasciato alle solitudini dei viandanti che avevano deciso di restare lì sul misurato spazio di un giaciglio da scavare nella roccia che si lascia modellare la calcarenite carezza del tempo. Avevano dato vita ad una comunità anacoretica e con gli anni la grotta iniziò a trasformarsi in Cripta con affreschi: colorati di terre del luogo apparivano e scomparivano in base al tasso di umidità li dove il terreno calcarenitico conteneva l’umore dei caratteri delle scritture il segno. Uno scrigno dove il contenuto spaziava liberamente nel suolo contenitore di microclimi et macroimprese. Una pittura morfologicamente interpretativa in base agli umori del tempo. Dopo aver affrescato Madonna con bambino e melograno continuarono ad affrescare in base agli arrivi dei racconti e nel 1200 si aggiungevano un Cristo pantocratore con Maria e Giovanni l’apostolo, un san Michele Arcangelo di una inaudita bellezza con il globo crucifero affiancato da san Nicola Pellegrino patrono di Trani mentre dall’altro lato frontale venivano affrescati un san Giuseppe Ora Pro Nobis ed un san Biagio protettore della gola. Sulle pareti i santi Medici daranno spazio nel 1600 alla costruzione di un altare in omaggio a san Francesco di Paola rabdomante protettore dei marinai e dei naviganti. Di questo ne parleremo più in là ora restiamo nel solco del dettato in quanto nel 1600 la grotta viene allargata e costruite delle pareti su cui far troneggiare un san Francesco di Assisi con accanto un immenso san Michele Arcangelo così come lo troviamo a Monte Santangelo con la scritta al centro QUIS UT DEUS (chi è come Dio). Al fianco un domenicano (San Domenico) con cagnolino e fiaccola. Dall’altro lato viene costruito un battistero in mazzaro sempre contorniato da affreschi.  Molto simile per bellezza se pur più piccolo alla grotta di san Michele delle Grotte in Altamura città che dell’abbandono ne ha realizzato lo spirito salvifico. Uscendo si fanno notare san Paolo e san Pietro con l’Angelo orante o annunciazione. 

Donato Emar Laborante

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