Il voto come diritto e dovere

Ci sono due termini che a settembre ci riguarderanno da vicino: voto e candidato. Il vocabolo “voto” viene dal latino vòtum e significa “promettere solennemente”, “dedicare” . In origine il voto era una promessa offerta a una divinità, dunque un’espressione di una volontà libera e partecipata. Nell’uso comune il voto è un “punteggio” che si appone dopo una valutazione (ad esempio il voto scolastico). Il “candidato”, invece, era per i Romani il candidàtus , ossia colui che “ vestito della toga candida, aspirava a una carica”. La candidezza del vestito rimanda alle incorrotte qualità morali che un candidato dovrebbe avere. Dal voto a un candidato uscirà un eletto, ossia — come l’etimologia del termine suggerisce — il “risultato di una scelta effettuata di propria volontà fra più cose (nel nostro caso fra persone) che si giudica la parte migliore”. L’eletto è dunque il risultato di un voto, ossia una valutazione attraverso una volontà libera e partecipata, di un candidato che risulta scelto. Con il voto dunque si appone una valutazione positiva alla “parte migliore”, che si “sceglie” per il suo carattere “candido” affinché risulti eletto. Il voto è quindi un “contratto a due vie” tra chi vota e chi è votato: il votante “dedica” il proprio voto a uno specifico candidato per la sua qualifica di “persona altamente morale” (candida), il votato deve ricambiare la fiducia del votante nel conservare, durante il suo mandato se eletto, l’integrità dei valori di incorruttibilità, operando per la “cosa pubblica” ( res publica ) e non per i suoi interessi individuali. Votando non solo si esprime una preferenza, ma si pronuncia una partecipazione a una comunità politico- sociale, quindi l’esercizio del voto rappresenta un diritto-dovere di appartenenza, il coronamento di una cittadinanza consapevole, la massima espressione della democrazia ( démos krátos , governo del popolo) . La scelta di non recarsi a votare ha come conseguenza il demandare ad altri la scelta della rappresentanza, perché in ogni caso il voto determinerà comunque degli eletti. Non solo, anche se un’alta estensione sarà ritenuta un dato allarmante, dopo una settimana dal voto tutti avranno dimenticato questo, mentre al politico eletto importerà solo che chi ha votato lo abbia fatto per lui. Nel rapporto tra chi vota (elettore) e il candidato, l’elemento forte è sempre il primo, perché il secondo è solo provvisorio, mentre il primo è stabile. Anche nel rapporto tra elettore ed eletto, il termine forte è il primo, perché il secondo può sempre essere revocabile. Ecco perché dobbiamo riflettere sull’importanza del voto e della scelta, ecco perché dobbiamo convincerci che quella croce che apponiamo sulla scheda elettorale è l’unica vera arma rimasta nelle nostre mani e non una “croce” che irreparabilmente dobbiamo sopportare.

Renzo Paternoster

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