Il cristianesimo a “due vie”: Chiese di Stato e Chiese cattoliche in Cina

Molti non sanno che in Cina esistono due Chiese cattoliche: una dello Stato, l’altra del Papa.

La storia cristiana della Cina inizia col gesuita Matteo Ricci, che nel 1582 si recò a Pechino e fu ammesso presso la gran corte imperiale. L’evangelizzazione della Cina proseguì, soprattutto nell’800, per merito di congregazioni religiose, ma la strumentalizzazione dei missionari da parte degli occidentali, contribuì a creare le prime diatribe. Per questo Benedetto XV ammonì gli evangelizzatori nel perseguire il fine religioso, anziché gli interessi del Paese d’origine (enciclica Maximum illud,1919).

Con la rivoluzione dei Boxer (1899-1901), originatasi per annientare l’ingerenza delle potenze coloniali europee, iniziò la prima grande persecuzione religiosa. Fallita la rivolta, le missioni ripresero a operare nel Paese.

Nel 1943 s’instaurarono normali relazioni diplomatiche tra il governo di Chiang Kai-shek e la Santa Sede di Pio XII. Nel 1946 la Santa Sede divise la Cina in venti province ecclesiastiche, innalzando i vicariati apostolici a diocesi.

Quando nel 1949 Mao TzeTung prese il potere, proclamando la Repubblica Popolare di Cina, si iniziò a politicizzare ogni espressione di vita. Il movimento delle “Tre Autonomie” (amministrativa, economica e di propaganda) esigeva che ogni confessione divenisse indipendente da controlli esterni. La Chiesa di Roma era considerata una diramazione di uno Stato estero, e per giunta amico degli imperialisti: per questo fu emanato il verdetto dell’espulsione dei suoi ministri stranieri e la soppressione del culto. La Santa Sede tentò invano un dialogo diplomatico.

Il governo iniziò il controllo religioso costituendo una “Chiesa nazionale cattolica”, ligia alle direttive governative ed esente da influssi esterni. Pio XII intervenne per esprimere i suoi timori, auspicando la fermezza nel restare uniti nella fede (enciclica Cupimus imprimis, 1952).

Nel 1957 il governo cinese creò la “Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi” (Apcc), che iniziò a consacrare vescovi senza la bolla canonica. Queste ordinazioni, senza nomina pontificia né approvazione del pontefice, allarmarono Pio XII che minacciò di scomunica i nuovi “vescovi patriottici” (enciclica Ad Apostolorum principis, 1958).

La Santa Sede, non avendo potuto mantenere le relazioni diplomatiche con la Cina di Mao, accettò di essere rappresentata a Taipei, capitale della Cina nazionalista di Taiwan. Questo diverrà una questione d’ordine politico che inacidirà ancor più i rapporti tra Vaticano e Pechino.

Per i comunisti radicali, che s’impadronirono del potere nella seconda metà del 900, i tempi erano maturi per abolire completamente la religione dal Paese. La persecuzione divenne più feroce.

Caduto il governo dei maoisti più radicali (anni Settanta), la persecuzione divenne più moderata e cinque religioni furono ufficialmente riconosciute dallo Stato: buddismo, cattolicesimo, islam, protestantesimo e taoismo. Per ognuna di esse esiste una “Chiesa patriottica” e un’associazione governativa che ne controlla le attività. Il partito comunista cinese, attraverso l’ufficio per gli Affari religiosi, fornisce le linee guida ed è responsabile del monitoraggio della legittimità delle attività religiose.

Passi diplomatici da parte di Giovanni Paolo II sono stati compiuti per tentare di allacciare un dialogo. Nell’ottobre 2001, in occasione di un convegno sul gesuita Matteo Ricci, il rettore della Pontificia Università Gregoriana, padre Franco Imoda, legge un messaggio di papa Wojtyla dai contenuti inattesi: il Papa, a sorpresa e con gran coraggio, annuncia la sua richiesta di perdono per le colpe della Chiesa nella storia dell’evangelizzazione della Cina. La risposta del governo cinese è stata: sospensione dei rapporti con Taiwan e non interferenza negli affari interni della Cina, prima di ogni accordo. Nel frattempo il governo ha continuato a rafforzare la Chiesa patriottica, promulgando nel maggio 2003 tre documenti che di fatto potenziano il controllo dello Stato sulla vita religiosa: “Metodo di conduzione per le diocesi cattoliche in Cina”, “Regolamenti per il lavoro dell’Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi”, “Metodo di lavoro dell’Assemblea unitaria dell’Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi e della Conferenza Episcopale Cattolica Cinese”. Tra le disposizioni c’è l’istituzione dell’Assemblea unitaria, composta da dirigenti dell’Apcc e dai vertici dell’episcopato patriottico, la cui funzione è quella della gestione integrale della Chiesa cattolica cinese, la “conversione” dei cattolici clandestini fedeli al Papa, il perfezionamento dell’autonomia da influenze straniere.

Nell’ottobre del 2018, il Vaticano stipula un “accordo provvisorio” con la Repubblica Popolare Cinese. L’accordo, rimasto segreto in molti contenuti, riguarda anche la nomina condivisa dei vescovi.

C’è un avvicinamento graduale, ma nel frattempo si continua a limitare la libertà religiosa. Ultima disposizione in ordine di tempo è quella recente del governo sul divieto funerali religiosi per i propri cari defunti, neppure se riguarda una Chiesa gestita dal governo. Pechino vuole ostentare la laicità, ma si dimentica che uno Stato è veramente laico soltanto quando tutela nella forma e nella sostanza la libertà di coscienza.

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